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AAA Talenti cercasi

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“Sei un fallito! Non vali niente!
Non riesci a fare neanche questo? Sei un buono a nulla!
Ma come si fa ad essere così incapaci?”

 

Quante volte ci siamo sentiti dire queste parole? Quante volte le abbiamo pensate o pronunciate a noi stessi, e magari – siamo sinceri – ce le siamo detti in maniera inopportuna, amplificando lo stato d’animo di una soluzione risolvibile? Spesso, quando non riusciamo in qualcosa, ci possiamo sentire senza qualità, inutili, inefficaci, non vedendo niente di buono in noi quando in realtà non è così.

 

World’s got talent: in un mondo a caccia di capacità sorprendenti, quanto coltivo il talento che Dio mi ha affidato?

 

Con il progressivo aumento dei talent-show, possiamo notare che intorno a noi, davvero, c’è un mondo speciale! Scopriamo continuamente talenti, uno più originale dell’altro: ci sono persone che creano strumenti musicali con gli oggetti, altri che sollevano o trascinano tonnellate, chi sa fare mille voci, chi realizza sculture col materiale riciclato e chi riesce a ballare su un filo sospeso a 40 metri d’altezza. Vedendo queste prodezze, ci domandiamo: ma è una dote naturale o il frutto di studio, lavoro e sacrificio? La risposta – come spesso accade – sta nel mezzo: un talento, se non viene coltivato, non frutterà il massimo.

 

Il talento: le origini

 

Nel Nuovo Testamento il termine “talento” indica una moneta utilizzata in Grecia e Palestina ai tempi di Gesù, il Quale utilizzò proprio questa valuta in una delle Sue parabole: “un uomo (…), partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità…” (Matteo 25:14,15). Notato niente di strano? L’uomo in partenza (figura di Dio) affida ai suoi servi dei talenti; colui che ne ha ricevuto di meno, però, non ne ha avuti zero ma uno. Possiamo applicare questo racconto alla vita pratica di ogni credente. Ognuno ha ricevuto una capacità da Dio; già che sia Lui ad averla consegnata la rende speciale. Dunque, un talento (inteso come capacità personale), almeno uno, lo abbiamo tutti.

 

Non lo dico io ma Dio, Colui che ha messo in noi le diverse qualità ed abilità che rendono il mondo intorno a noi così meravigliosamente vario e ricco di sorprese. Spesso, anche tra i credenti, sentiamo dire: “Io non ho nessun talento”; la cosa ci rattrista perché persone che pensano questo vivono “col freno a mano tirato” , non rendono il massimo delle potenzialità di cui Dio li ha dotati. Nel racconto proposto da Gesù, infatti, leggiamo che i primi due servi cominciarono ad investire sui loro talenti, “ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone.” (Matteo 25:18).

 

 

Talento o spettacolo?

 

Il problema è che tante volte, seguendo la società, accostiamo il talento all’arte in generale. E’ vero, non tutti sappiamo cantare, suonare, recitare, dipingere e parlare in pubblico e, francamente, meglio così: sarebbe noioso se tutti facessero la stessa cosa! Ma non sono solo quelli i talenti di cui Dio ha bisogno. Per esempio, saper cucinare per tante persone non può essere un talento? E avere la pazienza e la costanza di mettere la propria auto a disposizione di chi ne ha bisogno? Avere dimestichezza con la fonica, l’informatica, saper curare i bambini o intrattenere gli adolescenti, non sono anche questi talenti? Non dobbiamo sentirci esclusi dall’opera di Dio o magari inferiori a chi ha molteplici qualità visibili; avere più talenti è sicuramente un onore ma anche una grande responsabilità: “A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà” (Luca 12:48).

 

 

La soluzione: questione di prospettiva

 

Tante volte, per cambiare prospettiva, basta una semplice operazione grammaticale: se hai fallito non sei un fallito! Il fallimento esiste, fa parte del gioco, corrisponde alla metà di tutto quello che facciamo, e tante volte è anche costruttivo, contribuendo alla nostra crescita. “Nella mia vita ho sbagliato più di 9000 tiri, ho perso quasi 300 partite, 26 volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte…”. Queste parole non le ha pronunciate un giocatore di basket dilettantesco ma Michael Jordan, il miglior cestista della storia, il quale però prosegue: “… ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”. Come lui, tanti altri personaggi illustri della storia, prima di raggiungere il successo, dopo molteplici errori, venivano additati da altri – o da loro stessi – come dei falliti.

 

Il miglior esempio di apparente fallimento e sconfitta nella storia dell’umanità ce lo mostra il Signore Gesù che, dopo aver risuscitato i morti, restava fermo sulla croce senza salvare Sé stesso, magari sarà stato giudicato un perdente. Eppure il Suo (apparente) fallimento ci ha salvato da quello reale che occupava la nostra vita. La parola “peccato”, infatti, significa proprio “fallire il bersaglio”, ed è proprio da questo che Gesù ci ha salvati, affinché, liberi dal peccato e rinnovati dalla Sua opera, potessimo mettere i nostri talenti a Sua disposizione per divulgare l’Evangelo a tutto il mondo!

 

 

Un’operazione che cambia tutto

 

Grammatica, ma anche matematica. Da zero siamo passati a uno! Ed è noto che qualsiasi numero – anche un miliardo – moltiplicato per zero come risultato dà zero, mentre invece se lo si moltiplica per uno il risultato è un miliardo! Avete notato che differenza? Eppure siamo saliti di un semplice gradino. Non dobbiamo nascondere il nostro talento perché, prima o poi, Dio ritornerà e ci chiederà come lo abbiamo investito. Al servo che nascose il suo le cose non andarono così bene: “Il suo padrone gli rispose: “Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti” (Matteo 25:26-30).

 

Se crediamo di non avere capacità e talenti, stiamo offendendo il nostro Creatore che ce li ha donati. Lui, il “miliardo” di cui sopra – e anche qualcosa di più – ce l’ha già affidato. Di questo possiamo stare certi! Ora tocca a noi fare la nostra parte. Nella sua Parola, infatti, troviamo conferma che un talento, almeno uno, lo abbiamo. Da zero siamo passati ad uno. Ed è già una bella differenza.

Emilio Sabatelli

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