Spirito&Vita

Crescere insieme (Figli e Genitori)

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Come vivere in casa nel pieno rispetto reciproco e della volontà di Dio

 

Questo articolo nasce dalla domanda rivoltaci da un ragazzo: “Fino a che punto devo dare ascolto ai miei?”. Forse anche tu ti chiedi come strutturare il rapporto con i tuoi genitori. E ti domandi in che misura dovresti seguire le indicazioni dei tuoi, soprattutto quando la decisione da prendere è neutra, cioè non è  né bene, né male; quando, in altre parole, la scelta è tra due o più alternative “nella volontà di Dio”, biblicamente sostenibili.

 

Questo articolo è rivolto principalmente a figli quanto meno adolescenti, o giovani adulti, cioè, maggiorenni che vivono in casa con almeno un genitore.

 

Questa precisazione è necessaria in quanto bisogna ricordare che, finché i figli hanno meno di diciotto anni, i genitori hanno una maggiore responsabilità nei loro confronti, così come stabilito dalla legge (vedi, ad esempio, l’articolo 2048 del nostro Codice Civile). Se sei minorenne, il rapporto con tuo padre e tua madre è, per forza di cose, decisamente asimmetrico mentre, con la maggiore età, pur nel rispetto dei ruoli fissati da Dio, il rapporto genitori – figli diventa più “paritario”.

 

Parlando di scelte, pensiamo a quelle più rilevanti (come la città italiana o la nazione in cui trasferirsi per lavorare, in cui studiare, ecc.) oppure a scelte relativamente meno determinanti (come la palestra a cui iscriversi, il genere di taglio di capelli o di abbigliamento, ecc.).

 

Siccome, questo tema vede coinvolti fondamentalmente genitori e figli suddividiamo, per comodità, l’articolo in due parti: la prima dedicata ai genitori (nostri colleghi nel lavoro più bello e più impegnativo che ci sia) e la seconda ai figli (nostri coetanei … o quasi!).

 

Alle mamme e ai papà

 

Una delle più grandi sfide per un genitore è prendersi cura della figlia o del figlio (potremmo dire “stringerlo a sé”) e, al tempo stesso, riconoscergli una sempre maggiore autonomia (in qualche modo “allontanarlo da sé”).

 

È davvero difficile conciliare questi due aspetti: essere presenti nella vita dei nostri figli, ma non invadenti; responsabili nell’esercitare il ruolo che il Signore ci ha affidato, ma non opprimenti (o “irritanti”, come suggerisce il testo biblico di Efesini 6:4). Sarebbe utile ricordare che, come ha osservato lo scrittore americano Elbert Hubbard: “Quando i genitori fanno troppo per i loro figli, i figli non faranno abbastanza per sé stessi”.

 

Mazzini suggeriva di non amare i propri figli con un amore “snervato, irragionevole, cieco, ch’è egoismo per voi, rovina per essi”.

 

Tre possibili errori che i genitori possono fare, parlando sempre di decisioni più o meno significative da prendere, si possono racchiudere in altrettanti tipi di approccio:

 

1) IL CLONE: “Mio figlio sarà quello che sono”

 

Molti, forse, vorrebbero che la figlia o il figlio fosse ‘il Salomone che Davide ha avuto’, erede del trono occupato dal padre (1 Re 5:5), ma spesso non è così. I figli prendono strade diverse, e noi non dovremmo, quando succede, accanirci, scivolando nella frustrazione. Quante volte, a partire dall’indirizzo di studio o dalla professione i figli decidono tutt’altro rispetto a noi! Bisogna, per questo, colpevolizzarli?

 

Accettiamo i nostri figli per quello che sono, con la loro personalità, le loro fragilità e la loro determinazione, chiedendo costantemente a Dio di modellare, noi e loro. Quante volte i genitori dicono: “È buonissimo!” o “È bellissimo” o “Come fa a non piacerti?”, quando i figli storcono il naso?

 

Ma Dio non ci chiede di (provare a) rendere i nostri ragazzi nostre fedeli riproduzioni, ma “imitatori di Dio, come (Suoi) figli amati” (Efesini 5:1).

 

2) IL SOGNO: “Mio figlio sarà quello che sarei voluto essere”

 

Quello del ‘sogno che finalmente si avvera’ è un’ altra pretesa che molti genitori accarezzano: che i propri figli raggiungano traguardi ambiti da mamma o da papà, o da tutti e due, così che, quando chiederanno: “Ragazzo, di chi sei figlio?”, come fa Saul rivolgendosi al talentuoso e coraggioso Davide, si risponda: “Il figlio di Isai”! (1 Samuele 17:58). Poter dire, come alzando un trofeo: “È mia figlia!”, “È mio figlio!”.

 

Quando si parla di generosità di un genitore spesso il pensiero va al fattore economico, che ha la sua importanza, ma è ancor più importante la generosità legata al valore che si dà alle aspirazioni dei nostri figli, più che alle nostre.

 

3) IL ROBOT: “Mio figlio farà quello che desidero”

 

Dovremmo avere il coraggio di dire quello che i genitori del cieco guarito da Gesù, purtroppo, dicono per timore: “Domandatelo a lui; egli è adulto, parlerà lui di sé” (Giovanni 9:21). Forse vediamo i nostri figli non per quello che sono, ma per quello che siamo; ci sembrano immaturi per fare una certa scelta, perché, forse, siamo noi ad essere impreparati. I nostri figli non sono dispositivi elettronici che controlliamo con un telecomando.

 

Ci sia rispetto verso i figli e le loro inclinazioni personali: è un dovere cristiano oltreché un obbligo di natura giuridica (art. 147 del Codice Civile). Ci viene in mente un brano di Keith Green, compianto cantautore evangelico: Song for Josiah, dedicata al primo figlio. Il testo parla di un ascolto reciproco, tra padre e figlio, sempre tenendo conto della diversità dei ruoli:

 

Figlio mio, sono debole e tremante

Per il Signore lo ricordo costantemente

Se potessi, ti proteggerei da quel che vedrai

Questo mondo ti promette amore e bellezza, ma a me ha mentito

To insegnerò, se mi ascolterai

E ti prometto che ti ascolterò

 

Ai figli

 

Un genitore cresce con il figlio o la figlia, in tutti i sensi: come uomo o donna, come padre o madre, come persona, come credente; questo, i figli, non sono sempre pronti a riconoscerlo. Dio ha dato ai genitori un compito così determinante, da far tremare loro i polsi. Questa crescita delle volte è asimmetrica, sia da un lato, sia dall’altro. Se è vero che i genitori devono accettare i figli per quello che sono (e dar loro tempo e, possibilmente, modo per maturare) lo stesso dovrebbero fare i figli.

 

Pensa alla gravosa responsabilità dei tuoi di prendersi cura di te. Considera il dovere che i tuoi hanno, biblicamente, di correggerti (Proverbi 29:17), secondo modalità appropriate rispetto alla tua età.

 

La Bibbia ci chiede di dare ascolto ai nostri genitori, alle loro istruzioni e ai loro insegnamenti (Proverbi 1:8,15 ; 3:1), ricordandoci che la nostra saggezza riempie il cuore di papà e mamma di soddisfazione e, soprattutto, di felicità (Proverbi 23:15).

 

Tutti sanno che “onorare il padre e la madre”, è uno dei dieci comandamenti (Esodo 20:12). Anche quando decidi di fare a modo tuo, rispetta i tuoi, non solo per amor loro, ma, prima di tutto, per amore del Signore (Efesini 6:1,2).

 

Teniamo anche conto dei limiti dei nostri genitori, abbiamo pazienza con loro.

 

Se non si è obiettivi sui propri genitori si può andare incontro, a questo proposito, a due possibili errori:

 

  • ESSERE ACRITICI: dando retta, sempre e comunque, ai propri genitori, senza riflettere. Essere acritici è uno sbaglio tanto grave quanto quello di essere ipercritici. Un sano confronto è un arricchimento per tutta la famiglia. Noi figli possiamo far riflettere i nostri genitori, aiutarli a comprendere, a cambiare punto di vista o, comunque, fornendone loro uno diverso. Conosciamo figli che seguirebbero ciecamente il pessimo esempio del padre o della madre, come il figlio del re Nabucodonosor (Daniele 5:22). È chiaro che, ad esempio, quando il genitore vorrebbe spingere il figlio ad agire in modo illegale o, comunque, in contrasto con i principi biblici, i figli non sono tenuti ad ubbidire perché, in casi estremi, bisogna avere il coraggio di “ubbidire a Dio anziché agli uomini” (Atti 5:29)

 

  • ESSERE RIBELLI: senza dar mai ascolto ai genitori, per principio. Al polo opposto rispetto al primo tipo di rapporto con i genitori, si collocano i ribelli. Paradossalmente ci sono (e ci sono sempre stati) figli che non fanno tesoro del buon esempio di un genitore ammirevole, come i figli di Samuele, che non seguono le orme del padre (1 Samuele 8:1-5). Che nessuno di noi sia chiamato – come dice la Bibbia – “caparbio” (ostinato, che fa o pensa sempre a suo modo, che non sente ragioni), “ribelle”, “senza freno”: Dio detesta questo modo di essere e di agire. La Scrittura dispone che i figli ascoltino i genitori, sempre (“in ogni cosa”, Colossesi 3:20); non prestare loro ascolto dovrebbe essere un’eccezione validamente giustificata.

 

Tra questi due errori (essere come acritici o ribelli) c’è una posizione intermedia, equilibrata; quel tipo di ascolto, consigliato da Dio: amorevole, rispettoso, ragionato. Chiediamo a Dio l’obiettività per saper valutare quanto ci sia da imitare nel loro comportamento e, in generale, nel loro esempio per essere figli che sanno apprezzare tutto quello che i genitori hanno potuto e saputo trasmettere, a cominciare dalla fede, come fa il re Uzzia, almeno fino ad un certo punto della sua vita (2 Cronache 26:4,5).

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