Bibbia

Il Nuovo Testamento nel mirino

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Risposte evangeliche agli attacchi dei nuovi atei

 

Il Nuovo Testamento e la schiavitù

 

Nella prima parte di questa miniserie abbiamo cercato di fare il punto sulle accuse mosse dai rappresentanti del nuovo ateismo contro l’Antico Testamento. Vorremmo ora soffermarci su alcuni attacchi che sono stati sferrati contro il Nuovo Testamento, partendo da una questione che abbiamo già affrontato a proposito dell’Antico Testamento: quella della schiavitù, sulla quale, secondo i nuovi atei, anche il Nuovo Testamento non avrebbe pronunciato una chiara condanna.

 

È innegabile, in effetti, che, ad esempio, l’apostolo Paolo non abbia mai incitato gli schiavi a ribellarsi ai loro padroni, ma, anzi, li abbia più di una volta incoraggiati all’ubbidienza nei loro riguardi (cfr. Efesini 6:5-8 e Colossesi 3:22-25). Occorre, tuttavia, porsi una domanda: quale margine d’azione avrebbero avuto i cristiani dell’epoca opponendosi a un assetto sociale in cui era ben radicata la pratica della schiavitù? Di fatto, nessuno!

 

Non esisteva, infatti, alcuno strumento affine al suffragio con il quale si sarebbe potuta modificare la legislazione in materia di schiavi e, per di più, questi ultimi avrebbero pagato la propria ribellione con la vita. Anche la possibilità di emancipare gli schiavi era regolamentata e limitata da precise disposizioni come la Lex Aelia Sentia del 4 d.C., in base alla quale gli schiavi di età inferiore ai trent’anni non potevano essere liberati in assenza di un procedimento legale.

 

In tale cornice storica, però, il Cristianesimo ha operato una rivoluzione ben più profonda di quella che si sarebbe prodotta in seguito a una rivolta contro il sistema: ha messo sullo stesso piano, come fratelli in Cristo, lo schiavo e il padrone, che hanno sperimentato la grazia divina (cfr. Efesini 6:9 e Filemone 16).

 

La nuova vita offerta da Gesù a tutti gli uomini introduce un nuovo ordine spirituale, che va al di là dello schema dei rapporti sociali: «non c’è né schiavo né libero […]; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3:28). È una rivoluzione tutt’altro che di poco conto!

 

Facciamo notare, a conclusione di questo punto, che sebbene l’apostolo Paolo non incoraggi mai gli schiavi a ribellarsi, egli si dimostra assolutamente contrario alla schiavitù, inserendo il commercio degli schiavi tra i peccati contrari al messaggio dell’Evangelo (1 Timoteo 1: 8-11).

 

La ‘teoria della cospirazione’

 

Lasciando adesso l’argomento della schiavitù, spostiamo la nostra attenzione sugli attacchi che possono raccogliersi sotto il comune denominatore di quella che è definibile come ‘teoria della cospirazione’.

 

Alcune delle sue linee salienti sono affidate, nel celebre thriller Il codice Da Vinci di Dan Brown, alle affermazioni di un personaggio di fantasia, Sir Leigh Teabing: «Costantino commissionò e finanziò una nuova Bibbia, che escludeva i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo e infiorava i vangeli che ne esaltavano gli aspetti divini». Le tesi qui espresse si potrebbero sintetizzare in alcuni punti:

 

– solo nel IV secolo, al tempo di Costantino, il primo imperatore romano convertitosi al Cristianesimo, avrebbe preso forma il canone del Nuovo Testamento, per un’iniziativa essenzialmente politica dello stesso imperatore: in particolare, in quest’epoca i quattro Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sarebbero stati scelti a preferenza di altri vangeli, dai quali veniva fuori un’immagine più ‘umana’ di Gesù;

 

– tale selezione sarebbe stata dettata dall’intento di presentare Gesù come Dio;

 

Vorremmo, però, segnalare anzitutto alcune evidenze storiche, le quali provano che già nel II secolo – ben prima, dunque, dell’ascesa di Costantino al potere, e in un’epoca in cui la Chiesa, osteggiata e perseguitata, non godeva certo dell’appoggio dell’Impero – la raccolta dei quattro Vangeli era stata codificata ed era reputata dai cristiani pienamente autorevole;

 

– ai quattro Vangeli facevano riferimento, nelle loro opere, scrittori quali Papia (addirittura prima del 130 d.C.) e Ireneo, il quale, intorno al 185 d.C., nel trattato Adversus haereses (III, 11, 8), individuava un’analogia fra il numero dei Vangeli e quello dei venti e delle regioni del mondo: «poiché sono quattro le regioni del mondo […] e quattro i venti diffusi su tutta la terra e la Chiesa è disseminata su tutta la terra, […] è naturale che essa abbia quattro colonne, che soffiano da tutte le parti l’incorruttibilità e vivificano gli uomini. Perciò è chiaro che il Verbo Artefice dell’universo, […] dopo essersi mostrato agli uomini, ci ha dato un Vangelo quadriforme, ma sostenuto da un unico Spirito»;

 

– verso il 173 d.C. Taziano il Siro unificò i quattro Vangeli in una narrazione continua;

 

– al 225 d.C. circa risalgono il papiro P45, che contiene versetti di tutti e quattro i Vangeli, e il papiro P75, che tramanda porzioni del Vangelo di Luca e di quello di Giovanni.

 

Quanto, poi, all’ipotesi secondo cui soltanto a partire dal IV secolo sarebbero stati enfatizzati i tratti divini di Gesù, si può obiettare che già nelle fonti databili fra il 30 e il 60 d.C. a Gesù erano riconosciute le prerogative del Dio dei Giudei: Egli veniva adorato e invocato come Dio e Signore, come Creatore e supremo giudice. Perfino dalla parte opposta, quella dei fautori delle più antiche eresie, mentre era messa in dubbio la natura umana di Cristo, non si poneva affatto in discussione la Sua divinità!

 

Infine, riguardo ai vangeli che sarebbero stati ‘soppressi’ a vantaggio dei quattro divenuti canonici, è il caso di entrare un po’ nel merito del contenuto di alcuni di essi. Fra i tredici manoscritti scoperti nel 1945 a Nag Hammadi in Egitto, ce n’è uno, il Codice II, che conserva, insieme ad altri testi, i vangeli di Tommaso e di Filippo. Il primo di essi è costituito da centoquattordici detti attribuiti a Gesù e inizia così: «Questi sono i detti segreti che il Gesù vivente ha proferito […].

 

Chiunque trova l’interpretazione di questi detti non sperimenterà la morte». Com’è lontana questa visione del messaggio di Gesù, elaborata in ambienti gnostici, da quella che emerge dalle parole che lo stesso Gesù ha pronunciato davanti al sommo sacerdote: «Io ho parlato apertamente al mondo; ho sempre insegnato nelle sinagoghe e nel tempio, dove tutti i Giudei si radunano; e non ho detto nulla in segreto» (Giovanni 18:20)!

 

È forse ancor più inquietante, poi, il detto 114 del vangelo di Tommaso, in cui, a proposito di Maria, che Pietro avrebbe voluto allontanare sostenendo che «le donne non sono degne di vita», Gesù afferma: «Io stesso la guiderò per renderla maschio […].

 

Perché ogni donna che si lascerà diventare uomo entrerà nel regno dei cieli». Come potrebbe conciliarsi una simile dichiarazione, da cui traspare un certo disprezzo per le donne, con l’attenzione con cui Gesù si è accostato alle necessità spirituali e fisiche delle donne, permettendo, fra l’altro, a diverse donne da Lui guarite di seguirLo insieme ai discepoli (Luca 8:1-3)?

 

Ancora a proposito di donne, il solito Sir Teabing del Codice Da Vinci chiama in causa un passo del vangelo di Filippo che suonerebbe così: «E la compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Cristo la amava più di tutti gli altri discepoli, e soleva spesso baciarla sulla bocca».

 

Appellandosi a conoscenze di aramaico che, a ben vedere, poco gioverebbero nell’interpretazione di uno scritto in copto come il vangelo in questione, Teabing sentenzia che il termine «compagna» equivale qui a ‘moglie’. Alcuni potrebbero ritenere in qualche modo suggestiva l’immagine ‘umanizzata’ di un Gesù che avrebbe avuto una moglie. Ma come reagirebbero se sapessero che, in realtà, il testo originale non autorizza affatto questa lettura?

 

La frase, infatti, si presenta così, con alcuni passaggi illeggibili che evidenzieremo con una serie di puntini: «E … compagno di … Maria Maddalena … era solito … più degli altri discepoli … spesso la baciava». Ci sembra quasi superfluo notare che sulla base di un testo così lacunoso ricostruire un legame coniugale tra Gesù e Maria Maddalena risulta una palese forzatura!

 

Su questi e su altri vangeli gnostici potremmo soffermarci ancora, ma per il momento ci limitiamo a un’ultima osservazione: oltre a introdurre elementi assenti nei vangeli canonici, a questi ultimi i vangeli gnostici hanno attinto in più punti, manipolandone però il dettato. Anche questo, a ben pensarci, è un indizio che gioca contro la loro affidabilità.

 

Il problema delle traduzioni e della mancanza degli originali

 

Facciamo un cenno, adesso, agli attacchi mossi al Nuovo Testamento, sul terreno più strettamente testuale, da Bart D. Ehrman. Nel suo saggio Misquoting Jesus, del 2005, egli pone in discussione il beneficio che deriva dal ritenere frutto di ispirazione divina il Nuovo Testamento e, in generale, la Bibbia, dal momento che gran parte dei lettori ha accesso non al testo nelle lingue originali, ma unicamente a goffe interpretazioni in lingue ben distanti da quelle di partenza.

 

Vorremmo, tuttavia, ribadire che per i cristiani la Bibbia non funziona come un incantesimo in cui anche l’alterazione di un solo termine pregiudicherebbe l’efficacia della formula. La Bibbia, infatti, è potente in sé stessa perché è la Parola di Dio e «non è incatenata» (2 Timoteo 2:9), neppure dal vincolo delle traduzioni. Martin Lutero ha scoperto la giustificazione per fede leggendo la Bibbia in una versione latina e questa scoperta ha cambiato la sua vita, indipendentemente dai limiti insiti in ogni traduzione!

 

Ehrman, inoltre, rileva che l’attendibilità del Nuovo Testamento così come ci è pervenuto è compromessa dal fatto che non disponiamo dei manoscritti autografi degli scrittori dei vari libri, ma dobbiamo accontentarci di testimonianze che sono «le copie delle copie delle copie» degli originali e che, come accade nel gioco del telefono senza fili, per forza di cose portano con sé le variazioni testuali dovute al processo stesso della riproduzione manuale delle copie.

 

Tuttavia, per quanto sia innegabile che sussistano alcune differenze tra i manoscritti del Nuovo Testamento, è stato dimostrato che nessuna di queste differenze intacca in modo sostanziale il dettato del testo. La tradizione del Nuovo Testamento, cioè il complesso delle dinamiche di trasmissione del testo nelle varie copie giunte fino a noi, presenta infatti alcune caratteristiche osservabili in misura ben più consistente che nella tradizione di altre opere dell’antichità: il testo è riportato in maniera sostanzialmente concorde da numerose testimonianze – cioè da numerose copie – fra loro indipendenti.

 

E se anche una singola testimonianza dovesse venire meno, o se addirittura le cinquemila testimonianze più antiche dovessero risultare non valide, il dettato del testo non ne sarebbe alterato in modo tale da perdere la propria affidabilità. Su questo terreno tecnico, senz’altro, gli specialisti di filologia neotestamentaria potrebbero fornire ulteriori ragguagli. Da parte nostra, come credenti nati di nuovo grazie al messaggio potente delle Scritture, vorremmo concludere queste brevi note con le parole dell’apostolo Paolo: «non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Romani 1:16).

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