Cultura&Attualità

Il Razzismo e il Vangelo

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In una società in cui il razzismo è sempre presente la Parola di Dio ci costringe a intervenire e ci vieta di girare la testa dall’altra parte, facendo finta di non vedere.

 

Con la grazia di Dio, dobbiamo lavorare per superare l’orgoglio e abbattere ogni pregiudizio che può affiorare nella nostra vita, nelle famiglie e nelle chiese.

 

Dobbiamo considerare come applicare la Parola di Dio in una società contraddistinta da una vasta gamma di colori e da una molteplicità di culture, il tutto per la gloria del Signore.

 

La razza umana

 

Viviamo in una cultura dove ci troviamo costantemente immersi in discussioni sulla razza e il razzismo. Organizziamo convegni e forum di accoglienza, sponsorizziamo dibattiti e favoriamo i dialoghi, scriviamo articoli e teniamo discorsi sul modo in cui risolvere le tensioni razziali nella nostra società.

 

È possibile che stiamo cercando soluzioni a un problema grossolanamente frainteso? Non abbiamo considerato a sufficienza come, anche su questo tema, il Vangelo contrasta la cultura dominante e, di fatto, rimodella l’approccio dalle radici.

 

Partiamo dalla Parola di Dio

 

Osserviamo il punto di partenza offerto dalla Parola di Dio per le questioni sociali che stiamo affrontando. Il Signore decide di creare l’uomo e la donna a propria immagine, attribuendo loro pari dignità di fronte a Lui; quindi, come abbiamo visto, nessun essere umano vale più di un altro.

 

Tutti sono creati, indistintamente, riproducendo uno stesso modello, riflesso luminoso di un’unica fonte di luce, copia conforme di un solo originale del tutto immutabile. Tutti colati nel medesimo stampo, tutti ricalcano allo stesso titolo e portano impresso un identico marchio inconfondibile.

 

È la mancanza di fiducia in questa verità del Vangelo che ha portato a orrori indicibili nella storia umana. La schiavitù in America, l’Olocausto in Germania, i gulag in Russia, il massacro degli armeni in Turchia, il genocidio in Ruanda e il massacro giapponese di sei milioni di coreani, cinesi, indo-cinesi, indonesiani e filippini: sono tutti derivati dall’inganno satanico di leader e cittadini che si sentivano intrinsecamente superiori ad altri popoli o nazioni.

 

Dal primo capitolo della Bibbia, un dato traspare con assoluta chiarezza: tutti gli uomini e le donne sono fatti nel medesimo modo e rimandano all’immutabile immagine del Dio vivente.

 

La Genesi

 

Il primo capitolo di Genesi pone il fondamento, ma il capitolo 10 del libro espande questo concetto, e ci ricorda che, dopo la caduta dell’uomo e il diluvio sulla terra, le persone sono state divise “secondo le loro famiglie, secondo le loro lingue, nei loro paesi, secondo le loro nazioni” (Genesi 10:31). Queste divisioni tuttavia non cancellano la loro comune ascendenza, la famiglia di Noè.

 

A sua volta, le prime generazioni che popolarono la terra derivano in linea diretta dalla coppia dei progenitori, Adamo ed Eva. Questo è esattamente ciò che Paolo riferisce nel Nuovo Testamento quando dice a una folla di filosofi ad Atene: “Ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra” (Atti 17:26).

 

La narrazione biblica racconta quindi di una base comune e di una fase unitaria, prima dell’insorgere di qualsiasi diversità che ha separato e contrapposto il genere umano. Fin dall’inizio, Dio ha predisposto un nucleo iniziale, una discendenza umana che avrebbe avuto origine da un padre e da una madre.

 

Divisioni

 

Da questa comune origine si sarebbe sviluppata una divisione in clan famigliari, che si sarebbero poi dispersi dando vita a nuove entità nazionali legate alle varie dislocazioni territoriali.

 

In un tempo relativamente breve, nella Bibbia si assiste alla diffusione di gruppi etnici con precise caratteristiche somatiche, ispirati nella loro condotta a modelli culturali ben distinti.

 

Queste popolazioni estendono la loro sfera d’azione e raggiungono territori sempre più vasti e lontani.

 

Nel tentativo di ricostruire queste dinamiche potrebbe sorgere una domanda: “Allora a quale razza appartenevano Adamo ed Eva?”. La risposta mi pare semplice e del tutto ovvia: la razza umana.

 

“No”, qualcuno potrebbe aggiungere, “intendevo dire, di che colore era la loro pelle?”.

 

Non appena poniamo questa domanda, ci rendiamo conto che la questione ha almeno due serie di implicazioni. In primo luogo non siamo in grado di dare una risposta precisa, poiché la Bibbia non ce lo dice. Molte sono le immagini inserite nelle Bibbie occidentali dove troviamo la raffigurazione di Adamo ed Eva con la pelle bianca, ma non abbiamo alcuna base biblica per sostenere questa ipotesi.

 

In realtà sappiamo che la prima coppia avrebbe potuto essere di qualsiasi colore, o addirittura di due colori diversi. Forse la pelle di Eva era scura anche a causa della costante esposizione al sole. La genetica, comunque, stabilisce che con ogni probabilità i nostri progenitori avevano la pelle scura, essendo questi i geni dominanti nel colore della pelle. Indipendentemente da questi ragionamenti, ci ritroviamo a pensare e parlare delle persone secondo categorie che la Bibbia non ha mai usato.

 

In secondo luogo, e ben più importante, la Parola di Dio non ci dice di quale colore fosse la pelle di Adamo ed Eva poiché Dio non assegna alcuna importanza alle varie tonalità della cute, non reputandolo un dato rilevante. Qualunque sia stato il colore di Adamo ed Eva (e dei loro figli), contenevano in loro il DNA stabilito da Dio che alla fine si sarebbe sviluppato in una famiglia multicolore, in un mondo multiculturale.

 

In questo modo, la Parola di Dio ci ricorda che, a prescindere dal colore della nostra pelle, tutti abbiamo le medesime radici.

 

Fondamentalmente, siamo tutti parte della stessa razza. Ecco perché abbiamo tutti bisogno dello stesso Evangelo.

 

Ciò che la Parola di Dio rende possibile

 

Non appena la Parola di Dio comincia a descrivere la presenza di diversi clan, lingue, territori e nazioni, allo stesso tempo rimprovera agli uomini l’orgoglio egoistico e il pregiudizio etnico.

 

Questo orgoglio è evidente anche nella prima famiglia: Caino, figlio di Adamo ed Eva, uccide suo fratello Abele. Poco dopo, “il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo” (Genesi 6:5).

 

L’espressione della malvagità umana, che si riflette nelle guerre tra le nazioni e nei conflitti tra i vari clan, è puntualmente registrata quasi in ogni pagina dell’Antico Testamento. I popoli più diversi entrano in contatto e si scontrano sistematicamente. Le pagine della Bibbia e della storia umana sono colme di episodi cruenti, legati a insanabili contrasti su base etnica.

 

Queste stesse pagine rivelano un Dio che sperimenta la medesima compassione di fronte a qualsiasi gruppo di persone.

 

Dopo la sorda sfida lanciata a Babele da tutta l’umanità, già nel capitolo 12 di Genesi, Dio chiama un gruppo di persone per fare di loro il Suo popolo. Dio promette di benedire questa etnia israelita, ma lo scopo della Sua benedizione guarda ben oltre. “In te”, Dio dice, “saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Genesi 12:3).

 

Questa promessa è ribadita molte volte, lungo tutto il corso dell’Antico Testamento. Dio esprime continuamente il chiaro proposito che tutte le nazioni vedano la Sua grandezza e sperimentino la Sua grazia (cfr. Salmo 96).

 

Dio ha inoltre assegnato delle leggi al Suo popolo, l’etnia israelitica, stabilendo il comportamento da tenere nei confronti di tutte le altre genti che si trovavano a vivere in mezzo a loro. Gli israeliti avrebbero dovuto ricordare costantemente il tempo in cui erano schiavi in Egitto.

 

Il Signore, dunque, comanda loro: “Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto” (Esodo 22:21). Nel brano che segue, sulla scia di ciò che abbiamo esaminato nel capitolo 4 riguardo al trattamento riservato all’orfano e alla vedova, Dio dichiara che Egli “ama lo straniero e gli dà pane e vestito”.

 

Di conseguenza, chiama il popolo ad amare chi non appartiene alla nazione che Lui stesso ha scelto (Deuteronomio 10:18). Attraverso i profeti, Dio accusa il Suo popolo di estorsione e rapina: “Il popolo del paese si dà alla violenza, commette rapine, calpesta l’afflitto e il povero, opprime lo straniero, contro ogni giustizia” (Ezechiele 22:29; cfr. anche Geremia 7:6; Zaccaria 7:10).

 

La parola ebraica tradotta con “straniero” in questi versetti può essere resa anche ricorrendo al termine “immigrato”. Questi stranieri, separati dalle loro famiglie e dalle loro terre, si trovavano in condizioni precarie, avendo bisogno di sostegno da parte delle persone in mezzo a cui si trovavano a vivere.

 

Di conseguenza, Dio li vedeva con occhio compassionevole e la Bibbia spesso considera lo straniero, o l’immigrato, alla stregua dell’orfano e della vedova. Le pagine dell’Antico Testamento presentano Dio come “il Signore [che] protegge i forestieri” (Salmo 146:9).

 

Nel Nuovo Testamento, con la venuta di Gesù sulla terra, il Figlio di Dio ci viene subito presentato come un immigrato.

 

Dopo la nascita è costretto a una fuga repentina. A causa della situazione politica, la famiglia di Gesù emigrò in Egitto, dove vissero per anni come forestieri in una terra straniera. Al ritorno in Israele, e fin dall’inizio del Suo ministerio, Gesù sovverte le aspettative nazionalistiche dell’etnia israelitica.

 

Stavano aspettando un Messia ebreo che li avrebbe affrancati dal giogo romano, ristabilendo l’antico regno di Israele. Anche se l’obiettivo primario di Gesù erano le “pecore perdute della casa di Israele” (Matteo 15:24), il suo messaggio va ben oltre gli angusti confini nazionali.

 

In diverse occasioni, Egli mostra come il Suo amore, il servizio, l’insegnamento, la guarigione e la salvezza fossero rivolti anche ai Cananei, ai Samaritani, ai Greci e ai Romani. Gesù stravolge in modo totale i preconcetti dei Suoi discepoli, non soltanto scegliendo di morire su una croce e risuscitando dalla tomba, ma anche comandando loro di proclamare “il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti” (Luca 24:47).

 

Gesù non si è presentato unicamente come Salvatore e Signore di Israele; è venuto come Salvatore e Signore di ogni uomo, indistintamente.

 

Questa verità divenne il fondamento e la chiamata della Chiesa all’unità etnica. La divisione culturale tra Ebrei e Gentili (i non ebrei), nel primo secolo della nostra era, rappresentava un solco incolmabile.

 

Eppure, mentre la storia della Chiesa si dipana, con enorme stupore da parte degli ebrei, scopriamo che molti pagani dànno il loro cuore a Gesù iniziando a credere in Lui. I primi cristiani, provenienti tutti dal giudaismo, non sapevano come comportarsi. Dovevano accettare i cristiani che provenivano dal paganesimo?

 

Se è così, bisognava imporre loro le prescrizioni della legge cui era tenuto ogni buon ebreo? In definitiva, anche se i Gentili sono stati accettati nella Chiesa, nella migliore delle ipotesi si sentivano membri di seconda classe rispetto ai cristiani nati nell’ebraismo. In questa atmosfera, Paolo parla dei Gentili dicendo:

“Ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo.

Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo. Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia”

(Efesini 2:12-14).

 

Poi li esorta, aggiungendo:

“Per mezzo di lui [Gesù] gli uni e gli altri abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito. Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio” (Efesini 2:18, 19).

 

Queste parole descrivono adeguatamente il potere unico conferito alla Parola di Dio, in grado di riunire persone di diverse etnie. I conti cominciano a tornare, non è vero? All’inizio il peccato ha separato l’uomo e la donna da Dio, creando al tempo stesso profonde divisioni tra gli esseri umani. Questo peccato era (ed è) alla radice dell’orgoglio etnico e del pregiudizio.

 

Quando Cristo è salito sulla croce ha vinto il peccato, rendendo le persone libere da quella presa mortale, e le ha ricondotte a Dio. Così facendo, ha aperto la strada a tutti gli uomini affinché si riconciliassero l’un l’altro. I seguaci di Cristo hanno così un “Padre”, una “famiglia”, una “casa comune” senza “muro di separazione”, in funzione di qualsiasi diversità etnica o culturale.

 


Questo articolo è tratto dal libro “Controcultura” di David Platt edito da ADI-Media

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