Insegnare è parte integrante del grande mandato di Cristo:
“Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:19-20).
In qualità di Responsabili dei giovani, siamo chiamati a ricoprire anche il ruolo di insegnanti, trasmettendo “tutte le cose” contenute nella Parola di Dio, la Bibbia. Tuttavia, questa chiamata a insegnare ci espone ad un rischio che Giacomo descrive così:
“Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che ne subiremo un più severo giudizio, poiché manchiamo tutti in molte cose” (Giacomo 3:1,2a).
Il rischio di essere trovati incoerenti è alto in particolare per chi insegna: ecco perché Giacomo ci lascia due, utilissimi, consigli.
“Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni. Fratelli miei, non dev’essere così” (Giacomo 3:10).
La lingua dell’insegnante è lo strumento dello Spirito Santo per trasmettere la Parola di Dio, che ha la capacità di creare dal nulla e trasformare ogni cosa. La Parola cambia il cuore e la mente di chi la accoglie con fede, dunque la nostra bocca è uno strumento di Dio per il bene di chi ci ascolta.
Eppure, dopo avere fatto (o detto) il bene, la nostra lingua può essere usata per il male, dopo aver edificato può distruggere, dopo aver ispirato può scandalizzare o negativamente condizionare gli altri. Siamo d’accordo con Giacomo: non dev’essere così!
Grande è il cambiamento che insegnando possiamo produrre negli altri; altrettanto grandi sono i disastri, quando la nostra lingua è animata da cattivi sentimenti:
“Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco … infiammata dalla *geenna” (Giacomo 3:5-6).
(*termine ebraico che indica il luogo della punizione eterna, l’Inferno)
La nostra lingua può essere ispirata dal Cielo o, perfino, infiammata dall’Inferno, quando il nostro carattere ci trascina nella maldicenza, in discorsi sciocchi o profani, animati da odio, rancore, antipatie e orgoglio personale.
È quindi assolutamente vitale, per ogni credente in generale e per ogni insegnante in particolare, domare la propria lingua: “ma la lingua, nessun uomo la può domare” (Giacomo 3:8)
Impossibile all’uomo…ma non a Dio! (cfr. Marco 10:27)
“SIGNORE, poni una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l’uscio delle mie labbra” (Salmo 141:3)
“Chi fra voi è saggio e intelligente? Mostri con la buona condotta le sue opere compiute con mansuetudine e saggezza” (Giacomo 3:13).
Chi fra noi? Se insegniamo è necessario che la nostra condotta sia contraddistinta dalla saggezza, perché non soltanto le nostre parole, ma anche le nostre azioni, siano coerenti con quello che predichiamo. Saggezza in ogni comportamento, atteggiamento, scelta, relazione. Saggezza in ogni momento, in chiesa e fuori dalla chiesa “perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato” (cfr. I Corinzi 9:27).
È terribile essere insegnanti “squalificati” da quelli che li ascoltano, non più credibili a causa della loro incoerenza.
La saggezza pratica di cui parla Giacomo è anzitutto mansueta ovvero umile e docile. Perché l’insegnante non è signore ma servo, scelto e ingaggiato da un Padre premuroso che desidera che i figli siano ben formati ed equipaggiati per cimentarsi nell’arena della fede.
La “saggezza che viene dall’alto” (cfr. Giacomo 3:17) è pura, libera da cattivi sentimenti dai quali possiamo talvolta essere animati, che invece hanno un’origine “terrena e diabolica” (cfr. Giacomo 3:14,15) e con i quali è incompatibile. In qualità di insegnanti dobbiamo continuamente fare una verifica dei nostri sentimenti sottoponendoli all’esame attento dello Spirito Santo.
Giacomo continua a descrivere la saggezza così (3:17):
“Manchiamo tutti in molte cose” (Giacomo 3:2).
Abbiamo detto che la responsabilità di chi insegna è grande, perché manchiamo tutti in molte cose. Per quanto educata possa essere la nostra lingua ed esemplare la nostra condotta, rimaniamo imperfetti e soggetti a sbagliare. Siamo dunque, chi insegna e chi ascolta, “misericordiosi gli uni verso gli altri perdonandoci a vicenda” (Efesini 4:32), sapendo che “il giudizio è senza misericordia contro chi non ha usato misericordia” (Giacomo 2:13).
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