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Come faccio a mettere sottosopra il mondo?

 

Il messaggio di Gesù è talmente forte da stravolgere ciò che prima era considerato naturale e scontato. È qualcosa che rimette in discussione e ribalta il senso comune, le idee e i comportamenti degli uomini.

 

Il cristianesimo è sempre stato “diverso”, sin dai suoi albori. Gesù predicava – e praticava – l’amore, l’accoglienza, la fratellanza e la sincerità in un mondo ricco di odio, repulsione e menzogne. Non solo: il Suo messaggio metteva in discussione tutti quelli che si reputavano religiosamente puri, per dimostrarne l’ipocrisia e l’inconsistenza.

 

Era un messaggio di trasformazione radicale, scomodo per tutti, che smontava ogni preconcetto. Da quella predicazione iniziò un movimento che non si fermò neanche dopo che Gesù comparve dai radar: i suoi discepoli, chiamati cristiani proprio perché seguaci di Cristo e del Suo insegnamento, venivano riconosciuti per strada come coloro che avevano “messo sottosopra il mondo” (Atti 17:6).

 

Le loro azioni e le loro parole disturbavano, destabilizzavano, avevano dato il via a un vero e proprio sconvolgimento: centinaia – che presto diventarono migliaia – di donne e di uomini senza istruzione mettevano a rischio la loro stessa vita per parlare di un uomo che avevano visto guarire le malattie, salvare le anime e risuscitare i morti (cfr. Atti 4:1-13).

 

Una cultura sottosopra

 

La “rivolta” portata avanti dai discepoli di Gesù non riguardava la politica, ma l’anima di ogni uomo, e metteva in discussione l’intera cultura del tempo, e la visione del mondo. Gesù non fu un
capo di stato, né un rivoltoso, tanto che venne rifiutato dagli ebrei, i quali gli preferirono Barabba proprio per questa ragione: si aspettavano un capo temporale, che li liberasse dai Romani, e non uno spirituale. Eppure, questo movimento non fu – e non è – per questo motivo meno straordinario, anzi: forse lo è di più.

 

Perché i governi passano in fretta, e così i loro capi, mentre Gesù fa qualcosa di solido, difficile da intaccare. Cambia radicalmente la nostra essenza e, di riflesso, anche ciò che ci riguarda più da vicino: i modi di vestire, il modo in cui parliamo, il modo in cui organizziamo le feste, o mangiamo, ma soprattutto il modo in cui stabiliamo cosa sia giusto e cosa sbagliato.

 

Ecco, allora, che arriviamo alla domanda che ci interessa: come possiamo mettere sottosopra il mondo? Abbiamo scritto molti articoli sull’evangelizzazione, che è senza dubbio la nostra priorità assoluta, ma ci sono anche due aspetti chiave della nostra società che possiamo ribaltare completamente.

 

Mettere sottosopra l’individualismo

 

Se diamo uno sguardo alla letteratura degli ultimi anni scopriremo che è invasa dall’autofiction, ossia la narrazione del sé, quasi come se gli scrittori non riuscissero più a raccontare nient’altro se non loro stessi. Da un lato, è facile capirne il perché: noi siamo la cosa che meglio conosciamo al mondo. Dall’altro, è impossibile non riconoscere in questo fenomeno l’ennesima dimostrazione del fatto che la nostra cultura è sempre più individualista.

 

Pensate ai social: ormai sono popolati da influencer di tutti i tipi, che non parlano di prodotti vari perché sono di qualità, ma perché devono sponsorizzarli. Al centro di questo tipo di pubblicità non c’è, tra l’altro, un prodotto, ma chi lo tiene in mano: uomini e donne investiti da un’aura quasi mitica. Il lavoro degli influencer consiste nel mettere in mostra se stessi, dando vita a performances che conquistino il pubblico.

 

E questa tendenza è radicata in tutti noi. Nel XXI secolo, più del passato, l’io è il centro dell’universo: non esiste nient’altro se non le nostre opinioni, i nostri bisogni, i nostri desideri, le nostre paure. Usiamo i social per raccontarci, e lo facciamo di continuo; ci buttiamo sul lavoro, pur di realizzarci, dimenticando spesso la famiglia, gli amici, il mondo che ci circonda. L’obiettivo dei nostri sforzi è soddisfare l’io e farlo risaltare, e pur di ottenerlo saremmo disposti a sacrificare tutto ciò che ci ostacola.

 

Cristianesimo

 

Il cristianesimo, invece, non funziona così. Quando Gesù venne su questa terra non mise mai al centro se stesso, ma Colui che l’aveva mandato: Dio, il Padre, il Creatore di ogni cosa. Il Suo scopo si è realizzato su una croce, simbolo di maledizione, sulla quale rinunciò alla propria vita pur di garantire la salvezza a tutti gli uomini.

 

I cristiani sono chiamati a seguire il Suo esempio, e infatti nel Nuovo Testamento ritorna continuamente l’immagine metaforica della morte in relazione a chi crede: “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Galati 2:20).

 

La morte qui descritta non è una morte fisica – nonostante molti cristiani siano stati e siano ancora perseguitati, a motivo della propria fede – ma è una morte simbolica, che si realizza nel momento in cui il cristiano rinuncia a se stesso, alle proprie aspirazioni egoistiche, ai propri desideri, per abbracciare il carattere di Gesù Cristo e i Suoi desideri per la vita degli uomini.

 

Un cristiano, quindi, non esalta la propria persona, ma Dio, e deve essere pronto a considerare “spazzatura” tutte le cose che ostacolano il suo rapporto con Lui (cfr. Filippesi 3:8). Un cristiano è
altruista, generoso, rivolto agli altri e ai loro bisogni.

 

Ama il prossimo come ama se stesso (cfr. Matteo 22:39) e trova la sua identità nella Chiesa, in cui è servitore, e mai capo: “per mezzo dell’amore servite gli uni agli altri” (Galati 5:13). Se la nostra vita fosse una rappresentazione teatrale, la vita del cristiano si svolgerebbe dietro le quinte: al centro del palcoscenico, con tutte le luci puntate addosso, c’è Dio.

 

Mettere sottosopra l’odio

 

Da ormai molti anni si parla di una tendenza che sta diventando sempre più diffusa e preoccupante: l’hate speech, l’odio che dilaga sulle piattaforme online. Gli haters – gli odiatori – sono ormai ovunque: una recente inchiesta di Vox ha segnalato che, nel 2020, il 43% dei post su Twitter avevano un contenuto negativo. Uomini e donne assolutamente normali, di età e background molto diversi, approfittano dell’anonimato dei social per lanciare addosso ad altri valanghe di insulti, minacce di morte e volgarità. In altre parole: odio.

 

Il fenomeno non si ferma qui. L’odio è ormai una costante anche nei talk show, di qualsiasi tipo essi siano. Basta fare un po’ di zapping per imbattersi in salotti televisivi in ci si grida addosso e ci si insulta, o in programmi che sfruttano il litigio e lo scontro per fare audience.

 

Ormai questa tendenza è diffusa anche sui social. Si tratta di un fenomeno detto dissing, riprendendo un termine che viene usato in ambiente musicale per indicare le “frecciatine” nascoste tra le parole delle canzoni, soprattutto nel rap.

 

Ma il dissing – che significa disrespect, in inglese, e cioè “non rispettare”, offendere – è all’ordine del giorno anche nei video di pochi secondi che spopolano su TikTok, oltre che nelle varie storie su Instagram. I personaggi del momento dissano, si insultano, litigano e postano tutto sui social, rivendicando la propria appartenenza a quella o a quell’altra fazione.

 

La costante sembra essere sempre la stessa: capire chi è che, questa volta, griderà più forte. L’effetto che ne deriva è allarmante: l’odio è ormai quasi totalmente considerato normale. Nella Bibbia, l’odio e la contesa appaiono in tutt’altro modo.

 

Opere della carne

 

L’apostolo Paolo le definisce “opere della carne”, e cioè opere del peccato, dell’errore, della nostra natura malvagia: “le opere della carne sono manifeste, e sono: […] inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni […] circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio” (Galati 5: 19-21).

 

Al contrario, “il frutto dello Spirito”, e cioè il frutto di un cuore che ha accolto lo Spirito di Dio, “è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Galati 5:22): tutti sentimenti opposti all’odio. Del resto, Gesù, durante il famoso Sermone sul monte, aveva predicato un messaggio che viaggiava sulla stessa onda: quello di amare i propri nemici, rispondendo all’odio con l’amore, allo schiaffo con la sopportazione, al litigio con un atto di pace (Matteo 5:38-48).

 

I cristiani, quindi, non odiano, ma amano. Anzi, fanno dell’amore il proprio vessillo, la propria unicità, perché in un mondo invaso dalle tenebre riescono a risplendere in maniera straordinaria,
attraverso la luce sprigionata dall’amore di Cristo. Il cristiano deve essere attento e controllato nelle proprie reazioni e nel proprio linguaggio, perché sa che la lingua “è un male continuo, è piena di veleno mortale” (Giacomo 3:8). Il suo compito è diffondere la pace, e non la guerra, anche a costo di rinunciare al proprio orgoglio. Su internet e nella vita reale, il cristiano non è un hater.

 

Mettere sottosopra il mondo

 

Il messaggio di Gesù, quindi, mette sottosopra tutto. E lo fa per moltissime altre ragioni, oltre a quelle di cui abbiamo parlato: perché dà valore all’uomo comune, per esempio, ma anche perché
ci dimostra che siamo molto di più che bambole da mettere in vetrina. Promuove l’accoglienza in un mondo intriso di discriminazione e razzismo e offre un amore solido e non liquido, e una
visione sana ed equilibrata della sessualità.

 

Proprio per questo motivo essere cristiani, oggi, non è facile, né comodo. Significa diventare oggetto di derisione e di stigmatizzazione; significa dover rinunciare a essere apprezzati dal mondo per essere apprezzati da Qualcuno che è “fuori dal mondo”.

 

A volte, nei casi più estremi, significa diventare vittima di bullismo e persecuzione. Ma Dio non ci ha lasciati soli. Anzi, nella Bibbia è scritto: “Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi” (Matteo 5:11-12).

 

A questo punto non resta che seguire il consiglio dell’apostolo Paolo: in una cultura immersa nel peccato, “non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Romanzi 12:21).

 

VUOI APPROFONDIRE L’ARGOMENTO?

 

Il cristiano è differente anche perché legge! Abbiamo dedicato un post ai libri cristiani fondamentali che devi leggere, ognuno di questi ti aiuterà ad affrontare un importante
aspetto della tua vita e a mettere sottosopra il mondo!
Puoi fare la differenza anche a scuola! Dai un’occhiata ai nostri post su come affrontare al meglio la vita scolastica.
Vuoi conoscere meglio un gruppo di cristiani davvero “radicale”? Leggi la nostra breve storia degli anabattisti.

Rebecca Molea

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