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Violenza Domestica: noi non ci voltiamo dall’altra parte!

 

Come aiutare chi è vittima di violenza nei modi più appropriati? Nell’anno 2020 sono state uccise 72 donne dai loro conviventi o compagni, molte di più hanno subito violenza da persone con le quali vivono una relazione sentimentale o condividono l’abitazione.

 

Il fenomeno, per quanto gode di un’attenzione mediatica importante, sembra non accennare a particolari rallentamenti anche nei primi mesi del 2021. Sentiamo il dovere di osservare il fenomeno con attenzione e profondo rispetto, senza pregiudizi e provando a riflettere su come dare il nostro contributo all’interno delle comunità locali e nella società. Per farlo, proviamo a rispondere a tre domande:

 

1. Cos’è la violenza?

 

L’art. 3 della Convenzione di Istanbul (2011) spiega che la violenza domestica contro le donne consiste “in tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata.”

 

In altre parole è violenza tutto quello che nega o limita la libertà di una persona in uno o in diversi aspetti della sua vita.

 

La violenza più facilmente riconoscibile è quella fisica che si manifesta con percosse, spintoni, lancio di oggetti. La violenza sessuale spesso la si identifica semplicemente nell’abuso da parte di un estraneo, ma è manifestata anche all’interno della coppia attraverso l’obbligo ad avere rapporti sessuali o a subire pratiche sessuali in modo non consenziente. Forme di violenza più sottile e difficili da riconoscere sono quella psicologica, caratterizzata dall’umiliazione e l’offesa verbale, e la violenza di tipo economico che limita la donna nell’utilizzo delle risorse economiche della famiglia.

 

2. Come riconoscere ed ascoltare la richiesta di aiuto?

 

Nella Bibbia, più precisamente nel libro dell’Ecclesiaste, viene narrato di un male che avviene tra le persone: molti sono umiliati e che “da parte dei loro oppressori c’è la violenza, mentre quelli non hanno chi li consoli (Ecclesiaste 4:1).

 

Come individui siamo chiamati ad essere attenti alle richieste di aiuto che ci giungono dalle persone che subiscono violenza. Come la locanda descritta nella parabola del Buon Samaritano, la comunità locale può diventare il luogo in cui Dio si prende cura delle donne oppresse e consola il cuore di chi vive una condizione familiare di continua umiliazione o privazione.

 

Nella Bibbia si racconta di una donna, Anna,  (1 Samuele 1) la quale viveva una condizione di violenza psicologica all’interno della propria famiglia; Anna andò al tempio per pregare, tuttavia in quel luogo non trovò sacerdoti che l’accogliessero e si prendessero cura del suo bisogno, anzi trovò Eli, un anziano sacerdote che la cacciò via in malo modo perché non riusciva ad ascoltare né a comprendere il suo bisogno.

 

Affinché questo non accada nelle nostre comunità locali, diventa indispensabile che ognuno di noi attui un comportamento che non sia disposto semplicemente all’azione, ma prima di ogni altra cosa pronto all’ascolto (Giacomo 1:19).

 

Gli esperti ci suggeriscono non solo di ascoltare il racconto verbale di chi subisce violenza ma, dato che spesso non si riesce a raccontare con facilità ciò che accade tra le mura domestiche, porre attenzione anche ad alcuni indicatori che possono rivelarsi importanti. Tra questi abbiamo: indicatori psicologici (paura, stati d’ansia, stress, attacchi di panico, depressione, perdita di autostima, agitazione, auto colpevolizzazione); indicatori comportamentali (ritardi o assenze dal lavoro, agitazione in caso di assenza da casa, racconti incongruenti relativi a lividi o ferite, chiusura o isolamento sociale); indicatori fisici (contusioni, bruciature, lividi, fratture, danni permanenti, aborti spontanei, disordini alimentari).

 

3. Che cosa fare se una persona che conosciamo subisce violenza in casa?

 

La prima risposta sarebbe: Aiutarla! Tuttavia non è così semplice aiutare una persona che subisce violenza in ambito familiare, se non si vuole correre il pericolo di creare altri danni può essere utile riflettere in anticipo su quali pratiche poter favorire.

  •  Il primo passo non è fare, ma aiutare la vittima ad essere consapevole di ciò che le sta
    accadendo;
  • Ascoltala, falla sentire accolta e non giudicata;
  • Rispetta i suoi tempi, i suoi silenzi e la sua privacy. Non fare nulla se non è lei a chiedertelo;
  • Prega con lei, leggete insieme dei brani della Bibbia che fortificano la sua fede in Dio e le ricordino la dignità che Dio le vuole ridonare;
  • Non affrontate questa situazione da soli, chiedete aiuto a dei credenti più maturi e di provata spiritualità;
  • Rivolgetevi alle autorità competenti (il 1522 è un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità. Il numero,
    gratuito è attivo 24 h su 24, accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking) per salvaguardare l’incolumità fisica della
    vittima e/o dei suoi figli;
  • Non escludere la possibilità di rivolgerti a professionisti d’aiuto (Psicologi, Assistenti sociali o Medici) qualora venissero fuori delle esigenze di natura medica o sociale.

 

Il locandiere della parabola ricevette una promessa dal Buon Samaritano, in relazione alle cure che stava dando al malcapitato incontrato per la strada: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno” (Luca 10:35). Se anche noi saremo attenti al bisogno di chi subisce violenza e ce ne prenderemo cura in modo responsabile e guidato dallo Spirito Santo, sarà Dio stesso a darcene la retribuzione in benedizione.

Naomi Puglia

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