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Non giudicate… in che senso?

 

Qualche mese fa ho incrociato un ragazzo che camminava per strada solitario. Aveva una felpa nera con su scritto “Only God can judge me” (“Solo Dio mi può giudicare”). Ritornerò poco più avanti al messaggio emblematico di quella felpa…

 

Su questo tema del giudizio umano mi viene in mente, innanzitutto, il messaggio che troviamo nel Vangelo di Matteo (7:1), dove Gesù ci insegna che non bisogna giudicare gli altri: “Non giudicate”. Penso che tutti, almeno una volta, ci siamo chiesti cosa intendesse esattamente il Signore, mettendo, diciamo, sulla strada dei Suoi discepoli questo divieto di giudizio. Vediamo insieme qualche ipotesi su possibili interpretazioni.

 

Non giudicate… mai?

 

Il Signore intendeva affermare che un Suo discepolo (anche dei nostri giorni) non dovrebbe mai, in alcun modo e in nessuna occasione, giudicare? Gesù ci ha voluto dire che dovremmo sospendere la nostra capacità di giudizio, di discernimento? Che dovremmo pensare solo a noi stessi e scollegare la mente quando si tratta di valutare azioni o persone? Uhm… non può essere.

 

Interpretare così le parole di Gesù, infatti, ci porterebbe ad essere degli egoisti, delle persone superficiali. Sarebbe assurdo pensare alla sospensione delle nostre facoltà critiche, anche perché il giudizio ha a che fare con l’intelligenza, con la capacità di analisi che Dio ci ha donato e che vuole che esercitiamo per distinguere il bene dal male, la verità dall’errore! La Bibbia dice che “L’uomo spirituale… giudica ogni cosa…” (1 Corinzi 2:15); in altre parole, il cristiano è un attento osservatore, qualcuno che si interroga costantemente sulla volontà di Dio. C. H. Spurgeon, autore evangelico dell’‘800, fa notare che “i santi non sono dei giudici, ma non sono neanche dei sempliciotti”.

 

Come applicare allora il “non giudicate” di Gesù? Dovremmo ritenere che facciamo bene a metterci orgogliosamente sulla difensiva, dietro la nostra trincea ideologica, proclamando “Nessuno mi può giudicare”, quando non accettiamo le critiche di qualcuno o ci sentiamo inattaccabili (o ci sentiamo perlomeno in buona fede)? Questo tema è stato reso celebre da successi musicali e cinematografici italiani, e anche per il ragazzo con la felpa nera, citato all’inizio, evidentemente era significativo, come minimo accattivante. Anche questo modo di intendere il “non giudicate” di Cristo, però, presenta dei grossi problemi, come se incoraggiasse ad essere dei presuntuosi, degli arroganti, gente noncurante dell’opinione, dei consigli e della sensibilità degli altri.

 

Che cosa intendeva dire Gesù?

 

Che significano allora le parole di Gesù “Non giudicate”? Che Cristo abbia proibito l’istituzione umana di qualunque tribunale, come credeva lo scrittore russo Tolstoj? Pensando così diventeremmo anarchici!

 

Facciamo così: andiamo al versetto citato all’inizio, riportando anche il contesto, scelta che premia sempre.

 

“Non giudicate, affinché non siate giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? O, come potrai tu dire a tuo fratello: “Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza”, mentre la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello” (Matteo 7:1-5).

 

In questo passaggio del cosiddetto Sermone sul Monte, Gesù pone una questione fondamentale, perché dal nostro genere di giudizio dipende la qualità delle nostre relazioni, a partire dal nostro rapporto con Dio. La domanda di fondo è: come giudichiamo? Con quale presupposto, con quale animo? Cerchiamo di capire meglio il senso delle parole di Cristo. Quando Gesù dice “Non giudicate”, bisogna intendere:non date sentenze definitive”. I versetti sopra, perno di questo articolo, ci spiegano perché non dovremmo sedere sulla sedia del giudice.

 

Ci sono almeno tre ragioni che la Parola di Dio pone in luce.

 

  1. Non emettiamo sentenze definitive perché non siamo noi il Giudice

 

Si possono esaminare le azioni e le attitudini degli altri, ma non dovremmo giudicare le loro intenzioni e motivazioni. Non siamo Dio. I Farisei giocavano a fare Dio quando condannavano gli altri, ma non consideravano che Dio un giorno avrebbe giudicato anche loro (W. W. Wiersbie).

 

 

L’apostolo Giacomo scrive: “Non sparlate gli uni degli altri, fratelli. Chi dice male del fratello, o chi giudica il fratello, parla male della legge e giudica la legge. Ora, se tu giudichi la legge, non sei uno che la mette in pratica, ma un giudice. Uno soltanto è legislatore e giudice, colui che può salvare e perdere; ma tu chi sei, che giudichi il tuo prossimo?” (Giacomo 4:11,12).

 

Il cristiano non dovrebbe atteggiarsi a giudice (abusivo), con la presunzione di essere al livello di Dio (in Giobbe 39:26 il Signore definisce Giobbe “il censore dell’Onnipotente” e gli fa tutt’altro che un complimento…). Bisogna evitare quello che lo scrittore cristiano John Stott ha chiamato “atteggiamento censorio” (cioè da magistrato, addetto al controllo o alla vigilanza), lapproccio di chi vive col dito puntato contro gli altri. Lo stesso autore scrive: Il critico censore è un trova-difetti negativo e distruttivo nei confronti delle altre persone e gode nel cercare i loro difetti. Interpreta le loro motivazioni nel peggiore dei modi, smonta le loro idee ed è spietato con i loro errori”.

 

  1. Non emettiamo sentenze definitive perché la severità che usiamo verso gli altri sarà usata verso di noi

 

Le parole di Gesù sulle due misure, sui due criteri di valutazione (su come saranno misurati i nostri torti, errori, dagli altri) si può applicare sia al giudizio di Dio sui nostri propositi e sulle nostre azioni, sia al trattamento che il prossimo ci riserverà.

Siamo benevoli, perché “ci conviene”. Si sa, infatti, che siamo tutti molto più propensi a passare sopra agli errori delle persone benevole piuttosto che su quelli delle persone crudeli.

 

La Bibbia dice: “manchiamo tutti in molte cose. Se uno non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto” (Giacomo 3:2). Spesso le colpe che vediamo negli altri sono in realtà le nostre: vediamo gli altri non per quello che sono, ma per quello che siamo.

 

Ciascuno esamini se stesso” (1 Corinzi 11:18), “Ciascuno esamini lopera propria” (Galati 6:4), scrive l’apostolo Paolo. Quante volte abbiamo usato un determinato parametro diverso, una certa unità di misura (o arrotondamento per difetto…) nel valutare noi stessi e un parametro o un’unità di misura completamene diversi nel valutare gli altri! Quante volte ho misurato i miei errori con il righello e gli errori degli altri con il contachilometri!

 

È il diavolo che prova soddisfazione nel trovare capi d’accusa contro i figli di Dio (Apocalisse 12:10): non prendiamo lezioni da lui! Trattiamoci da fratelli, non da magistrati che sentenziano su casi di imputati considerati colpevoli senza attenuanti. Lipercriticismo non è un modo fraterno, non è un’attitudine che riporta al Vangelo della grazia, né al nostro “Padre misericordioso” (2 Corinzi 1:3).

 

  1. Non emettiamo sentenze definitive perché sentenziare sugli altri è ridicolo

 

Gesù parla di “pagliuzza” (che si potrebbe tradurre anche “truciolo di legno”, “scheggia”, “ramoscello”). Il mio pensiero è andato a Gesù-uomo, il figlio del falegname (Matteo 13:55)! Per Lui, come per la gente del Suo tempo, sia un’asse di legno, un tronco d’albero che durante il taglio e la lavorazione avrebbe rilasciato trucioli e particelle di legno, sia dei fuscelli di paglia raccolta dai contadini erano qualcosa di estremamente familiare.

 

L’iperbole della trave davanti ai propri occhi e della pagliuzza da voler togliere all’altro ci ricorda che soltanto chi è consapevole di dover rendere conto a Dio ed è onesto abbastanza da essere autocritico può avere l’obiettività e la sensibilità per aiutare il prossimo a liberarsi del corpo estraneo nell’occhio! Chi ha la trave davanti rischia di accecare una persona tentando di fare distrattamente l’“oculista spirituale”! Guardiamoci allo specchio della Parola di Dio (Giacomo 1:22-25)! L’apostolo Paolo scrive ai credenti “italiani” del I secolo: “… chiunque tu sia che giudichi, sei inescusabile; perché nel giudicare gli altri condanni te stesso; infatti tu che giudichi, fai le stesse cose” (Romani 2:1) e “Chi sei tu che giudichi il domestico altrui?” (14:4).

 

Attenzione: Gesù dice di cominciare a valutare il nostro cuore e la nostra vita, non che dobbiamo “farci i fatti nostri”. Se siamo fratelli, dobbiamo aiutarci a vicenda anche a rimuovere le fastidiose pagliuzze dagli occhi! Che bruciore! Che fastidio tremendo! Immedesimiamoci, agiamo nell’ottica dell’amore, col proposito di aiutare. Non siamo chiamati ad indossare la toga del giudice, né la maschera dell’attore (ipocrita), ma i panni che dovremmo già indossare, del fratello: “Permettimi di aiutarti a rimuovere ciò che ti fa soffrire, che non ti aiuta, che non ti fa vedere”.

 

La regola d’oro

 

Nello stesso brano di Matteo (7:12) è contenuta la cosiddetta regola d’oro dell’insegnamento di Gesù: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti”. Al tempo di Gesù esistevano già precetti simili (contenuti in opere di filosofi dell’Antica Grecia, di eminenti rabbini ebrei) ma sempre in forma negativa: “Non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te”. Precetti che, tra l’altro, avrebbero fatto parte anche di detti latini, e che fanno parte del pensiero buddista o induista. L’unicità del messaggio di Gesù è nel comandamento positivo: “fate”!

 

 

Ecco la potenza della regola d’oro del Signore, che soltanto il Suo amore in noi ci permette di praticare! Per citare ancora una volta John Stott: Se ci mettessimo con buon senso nei panni dellaltra persona e desiderassimo per lei ciò che desideriamo per noi stessi, non saremmo mai avari ma sempre generosi, mai bruschi ma sempre comprensivi; mai crudeli ma sempre gentili”.

 

Per amore di Dio (per il nostro bene e per il bene di tutti): il nostro approccio non sia giudicante. Non giudicanti, prima di tutto verso noi stessi, perché “se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosase il nostro cuore non ci condanna, abbiamo fiducia davanti a Dio” (1 Giovanni 3:20,21). Ovunque siamo, da casa nostra alla nostra comunità, in qualunque tipo di relazione: non contribuiamo a creare ambienti giudicanti, ma ambienti accoglienti, popolati non da dita puntate, ma da mani tese, in nome Suo.

Gabriele S. Manueli

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