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In un paese lontano …

 

In un mondo fatto di “estranei”, possiamo rimanere indifferenti, anche dentro una chiesa?

 

Vi trovate in un paese straniero. Nessuno vi conosce e voi non conoscete nessuno. Siete soli. Dovete cavarvela con le vostre forze e la vostra abilità. È l’ora di mettere in pratica tutta la vostra esperienza acquisita negli anni.

Nel vostro soggiorno lontano da casa vi siete portati un problema che fino a quel momento nessuno aveva saputo risolvere. Adesso, dove vi trovate, vi rendete conto che la situazione non è cambiata: anche qua nessuno può risolvere il vostro problema.

 

Alla difficoltà di comunicare con la gente del posto che parla una lingua che non vi appartiene, si aggiunge la cultura del luogo e poi, magari, anche il vostro carattere chiuso e riservato. Pensandoci bene il vostro carattere non vi aiuta; a parte questo sentite forte la mancanza dei vostri genitori, della famiglia e degli amici… di un vero contatto umano; è sconfortante ammetterlo, ma SIETE SOLI.

 

Una vita da “estranei”

 

Il quadro descritto non è proprio dei più incoraggianti. Eppure in questo stato di sconforto e solitudine vivono ogni giorno milioni di persone di tutte le età, in tutto il mondo. Questa situazione sembra simile a quella di tante persone che passeggiano lungo un marciapiede affollato: tutti si passano accanto, magari anche sfiorandosi più volte, ognuno va per la sua strada, ognuno ha i suoi progetti e le proprie mete da raggiungere, ma nessuno comunica i propri pensieri più profondi con gli altri, nessuno è interessato a chi gli sfiora il braccio; alla fine ci si guarda attorno e ci si rende conto di essere DA SOLI. La comunicazione di circostanza, che nasce da educazione e un pizzico di gentilezza, non intacca che la superficie di questa solitudine.

 

Un rifugio sicuro

 

Immaginate un giorno di entrare per caso in una chiesa evangelica. Nessuno vi conosce. Fin qui la situazione non sembra tanto diversa dalla precedente… Tuttavia, fin dal primo momento che siete entrati, chi stava all’ingresso vi ha guardato in faccia e via ha sorriso amorevolmente facendovi accomodare; vi ha condotto dentro e proprio qui avete sentito una musica diversa dal solito, un’autentica lode a Dio.

 

Questa persona vi ha fatto sedere in un posto libero e vi ha introdotto ai canti, magari semplicemente mettendovi in mano un innario. Siete seduti lì e vi sentite rilassati, siete contenti e allo stesso tempo incuriositi; nessuno vi sta pressando per fare qualcosa, non state facendo nulla di particolare che essere seduti insieme ad altre persone che però testimoniano del loro amore per Dio in modo davvero sincero.

 

Poi arriva il momento della predicazione e le parole dette da quel “pastore” toccano il vostro cuore, vi sentite come colpiti, scioccati e anche accusati da dentro; eppure vi sentite sollevati e perdonati … e non capite perché.

 

Indifferenti o accoglienti?

 

Che situazione! Quante volte ciò avviene davvero? Spesso, ma non abbastanza spesso. Perché spesso forse tu che sei nato in una famiglia di credenti evangelici, tu che molto probabilmente non hai mai provato in tutta la sua brutalità e squallore quel senso di solitudine interiore e di abbandono, forse non sei stato premuroso e amorevole come quel credente all’ingresso. Sei consapevole che piccoli gesti di affetto possano rappresentare la scintilla giusta, il primo beneficio nell’anima di quella persona sola e sconfortata?

 

Non ti ricorda forse l’attitudine del buon samaritano descritta in Luca 10:25-37? All’interno della chiesa può manifestarsi l’indifferenza più imbarazzante. Quella stessa indifferenza che forse sarebbe comprensibile all’esterno di una comunità cristiana, diventa inaccettabile tra di noi, perché è semplicemente incompatibile con la nostra missione.

 

Quante persone sole, entrando in una chiesa evangelica, hanno trovato solo freddezza? Forse, a fine riunione, nessuno si è accorto di quella nuova presenza tra i banchi che ha avuto il coraggio (oppure la disperazione da “ultima spiaggia”) di entrare in una chiesa evangelica. Forse nessuno ha fatto nulla per lenire la solitudine imperante nel suo cuore: sola è entrata e sola è uscita.

 

Il nostro scopo di credenti nati di nuovo deve essere di manifestare sempre amore, accoglienza, conforto, empatia, capacità di ascolto e interesse; deve essere l’esternazione dell’opera preziosa e potente che Cristo ha compiuto nel nostro cuore. Come dei samaritani premurosi e amorevoli vogliamo essere pronti ad accogliere quanti si affacciano per le prime volte nella nostra comunità locale. Sembrerà poco per noi, ma il nostro atteggiamento può gettare le basi per una trasformazione radicale nel cuore di molti.

 

Un sorso d’acqua può fare la differenza fra la vita e la morte per chi arriva dal deserto.
La tua chiesa può essere una famiglia accogliente per chi vaga da solo in un “paese lontano”.

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