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Pastori e magi: il vero significato di quella notte

Redazione Svolta
27 Dicembre 2016
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Cosa possiamo imparare da due gruppi di persone completamente diverse che si ritrovarono davanti al Re dei re?


I pastori erano giudei. Semplici e illetterati. Un gruppo di gente del posto. Tendenzialmente poveri.

Fu un angelo a presentarsi a loro e portargli la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà.

Quella notte i pastori glorificarono e lodarono Dio.

Ce lo racconta l'unico scrittore del Nuovo Testamento che proveniva dal paganesimo, un medico e letterato di nome Luca (Luca 2:7-20) che voleva proclamare l’Evangelo soprattutto a greci e romani dei suoi tempi. Eppure per qualche ragione all’inizio del suo racconto si concentra su dei pastori ebrei.

Cambiamo scena e andiamo dai magi. Giusto per chiarire, non erano tre e non erano re. Erano sacerdoti-astrologi dell'antica Persia, cioè erano "maghi", un gruppo di studiosi di una potente casta. Provenivano da un paese lontano. Portavano preziosi doni, perché evidentemente erano facoltosi.
Ancora oggi non comprendiamo esattamente come ci sia riuscito, ma Dio non si è fatto problemi ad immergersi nella loro cultura pagana e, penetrato fra i loro pensieri, li aveva convinti a seguire un astro luminoso … come se questa fosse la conseguenza inevitabile dei loro studi astrologici: la “stella” si fermò proprio in corrispondenza del Messia che doveva nascere. Perché Dio stesso li stava chiamando a sé.
Chissà quanto avevano capito della dottrina ebraica a quel punto e chissà quanto ne capirono dopo.

Ma quella notte i maghi si prostrarono e adorarono davanti a Gesù.

Ce lo racconta lo scrittore del Nuovo Testamento che proveniva dall'ebraismo e scrive principalmente agli ebrei (Matteo 2:1-11). Eppure per qualche ragione all’inizio del suo Vangelo ci tiene a riconoscere l’esistenza di altri adoratori, dei sapienti persiani che venivano dal paganesimo. Quelli di cui il libro di Deutoronomio diceva “Non si trovi in mezzo a te … chi esercita la divinazione, né astrologo, né chi predice il futuro, né mago” (Deut 18:10).

C’è questo misterioso intreccio all’inizio dei Vangeli: lo scrittore ebreo ci ricorda che anche i pagani possono essere attratti da Gesù ed essere indotti a prostrarsi davanti a Lui; e il medico greco ci ricorda che Dio non manca di rivelare l’incarnazione del proprio Figlio agli umili pastori d’Israele.

Sicuramente non avvenne la stessa notte, i due gruppi arrivarono in momenti diversi. E anche i modi con cui furono attratti sono stati molto diversi: da un lato semplicemente un angelo apparve davanti a loro, dall’altro furono i loro ragionamenti e le loro osservazioni davanti a una misteriosa stella a condurli in quella direzione. Ma fu il punto di arrivo, l’esperienza finale ad essere comune ad entrambi.

È difficile pensare a due categorie sociali, economiche, culturali più differenti dei pastori e dei maghi persiani: eppure Giuseppe a entrambi non impedì l’accesso (chi lo avrebbe biasimato se alla nascita del Re dell’Universo avesse scacciato dei pagani persiani o quei semplici pastori?) ed entrambi furono uniti nell’adorazione del Signore Gesù, precursori di tutti gli altri che come noi, giunti da Israele o dalle più lontane nazioni della terra, hanno glorificato il nostro comune Signore Gesù.

Le altre religioni diverse dal Cristianesimo sono limitate a un particolare popolo o cultura, soltanto il Cristianesimo biblico non ha limitazioni simili e unisce anche le persone più distanti. Di fronte all’autentica Maestà di Gesù Cristo ricchi e poveri, semplici e intellettuali si prostrano e lo proclamano Re dei re.

Gesù “ha abbattuto il muro di separazione” (Ef. 2:14): la chiamata universale che ci rivolge prescinde dalle origini culturali ed ancora oggi attira gente di ogni tipo, perché Gesù è il Salvatore del mondo (1 Giov. 4:14).
“La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo” (Giov. 1:9).

È questo il senso di quella notte.


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