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Perché devo parlare in altre lingue? (Parte 5)

 

In difesa della dottrina pentecostale classica

 

…come molti altri, pensavo di aver ricevuto il battesimo nello Spirito Santo al tempo della mia consacrazione, ma quando scopersi che lo Spirito Santo poteva ancora essere sparso con maggiore pienezza, il mio cuore divenne desideroso per il Consolatore promesso e cominciai a richiedere ardentemente un rivestimento di potenza dall’alto…
Agnese Ozman, prima credente pentecostale battezzata nello Spirito Santo nel gennaio del 1901

Se si riflette sull’approccio letterario di Luca, la normatività della dottrina pentecostale classica trova ulteriore conferma: i testi di medicina contemporanei al libro degli Atti degli Apostoli erano costituiti da una serie di racconti di casi clinici osservati dei quali si descrivevano solo i sintomi ritenuti significativi.

 

Si tratta di un approccio proto-scientifico di diagnosi per cui si eliminavano gli elementi ritenuti irrilevanti e si lasciavano solo quei sintomi ritenuti decisivi per descrivere il normale decorso della malattia e della cura perché da un elenco di esempi concreti il lettore poteva trarre le considerazioni generali.

 

A maggior ragione in quanto scriveva un testo religioso, Luca sapeva (così come lo sapeva lo Spirito Santo) che i racconti che avrebbe riportato avrebbero conseguito automaticamente nell’uditorio un carattere di normatività e se avesse voluto lanciare un messaggio diverso ed evitare questo fraintendimento, avrebbe esplicitato in qualche modo l’eccezionalità del segno delle lingue e della distanza fra la Nuova Nascita e il Battesimo nello Spirito;

 

quando per esempio Luca vorrà sottolineare che il modo in cui si è ottenuta la guarigione descritto in Atti 19:12 è “fuori dalla norma”, lo espliciterà chiaramente (vd. termine originale tradotto “straordinari” in Atti 19:11).

 

Piuttosto Luca riferisce nel libro degli Atti una serie di episodi di battesimi nello Spirito Santo senza timore alcuno che il lettore tragga delle considerazioni generali dai suoi racconti.

 

Al contrario, tenendo conto della guida dello Spirito Santo nella stesura delle Scritture e dall’assoluta affidabilità da parte del vero autore della Bibbia (ricordiamo le parole di Gesù “sennò, vi avrei forse detto che…?”) sarebbe davvero difficile spiegare perché ci siano tanti episodi fuorvianti nelle Scritture e nessun esempio illuminante: non esiste nessun esempio nella Bibbia di qualche credente che è considerato “battezzato nello Spirito Santo” o “ripieno di Spirito” con la certezza che costui non abbia parlato in altre lingue.

 

Oltre agli episodi di Pentecoste e della casa di Cornelio che abbiamo già citato, riepiloghiamo rapidamente gli altri episodi di battesimo nello Spirito Santo che sono raccontati da Luca:

a) Samaria (Atti 8:12-18): i credenti samaritani “credettero” e “furono battezzati” perché avevano “accolto la Parola di Dio”. Nulla in questo testo lascia intendere che non si trattasse di autentica fede: l’utilizzo nel verbo greco di uno speciale tipo di passato (l’aoristo) si riferisce ad un momento specifico in cui avevano riposto la propria fede e non ad una fede generica come quella a cui fa riferimento il verso di Giac. 2:19.

 

In nessun altro caso nel Nuovo Testamento un’espressione simile a quella di Atti 8:12 viene utilizzata dagli scrittori ispirati se non per intendere la fede che accompagna l’esperienza della Nuova Nascita. I samaritani credettero in corrispondenza del verso 12 e furono battezzati nello Spirito Santo in corrispondenza del verso 17.

 

Qualsiasi tentativo di accorciare la distanza fra questi due versi, che descrivono due esperienze distinte, rappresenta una forzatura che non è lecito fare nei confronti del testo. Anche l’intervento degli apostoli non lascia dubbi a tal proposito: non evangelizzarono i Samaritani, non esortarono a ravvedersi e a credere, come se fossero ancora non credenti, piuttosto “imposero loro le mani” (Atti 8:17).

 

Oltre a questo, il verso 18 conferma che anche un credente carnale e immaturo come Simon Mago poteva riconoscere chiaramente i segni esteriori del battesimo nello Spirito Santo. Finora lo scrittore Luca ha dato al lettore un solo segno che può immaginare che si sia ripetuto in quest’occasione, ed è il segno delle lingue.

 

b) Paolo da Tarso (Atti 9:17, 18): da 1 Corinzi 14:18 sappiamo che anche l’apostolo Paolo parlava in altre lingue, anche se nel testo non è esplicitato quando iniziò a farlo. E’ paradossale che colui che “parlava in lingue più di tutti” i Corinzi, sia stato utilizzato da alcuni commentatori come esempio del principio che non sia necessario parlare in altre lingue per essere battezzati nello Spirito Santo, soltanto perché nel testo di Atti 9 Luca non esplicita quando Paolo abbia iniziato a parlare in lingue.

 

c) Efeso (Atti 19:1-7): la domanda di Paolo “Riceveste lo Spirito Santo quando credeste?” potrebbe essere tradotta letteralmente “avendo creduto, riceveste lo Spirito Santo?”. Questo tipo di formulazione nella lingua greca originale non consente di dedurre con certezza che legame logico ci sia fra “credere” e “ricevere lo Spirito Santo”, perché può riferirsi a contemporaneità, consequenzialità, legame di causa-effetto, ecc.

 

Il fatto che sia all’interno di una domanda rende ancora più difficile dedurre dal testo stesso cosa avesse in mente l’apostolo Paolo, ma alla luce di quanto visto finora dagli altri passi dello scrittore Luca, è perfettamente naturale pensare che Paolo chiedesse se dopo essere nati di nuovo, i credenti di Efeso avessero ricevuto anche il battesimo nello Spirito Santo.

 

Anche in questo caso, come in Samaria, l’intervento del servo di Dio non è quello di predicare nuovamente l’Evangelo, come se avesse di fronte dei non credenti che hanno bisogno di “nascere di nuovo”, ma piuttosto di “imporre le mani” (Atti 19:6) in vista di una diversa benedizione.

 

In questo caso Luca torna ad esplicitare il verificarsi del segno delle lingue, legandolo strettamente all’esperienza del battesimo nello Spirito Santo (v.6: “lo Spirito Santo scese su di loro ed essi parlavano in lingue”) ed aggiungendo con un’altra congiunzione l’evidenziarsi anche del carisma di profezia.

 

Nella lingua originale, la prima congiunzione “e” lega strettamente la discesa dello Spirito Santo con il parlare in altre lingue e viene utilizzata un’altra congiunzione (tradotta in italiano di nuovo con “e”, seppure sia diversa) per includere come aggiuntiva la manifestazione eccezionale del dono di profezia.

 

Tutti i casi elencati si spiegano in modo naturale e senza forzature alla luce della dottrina pentecostale classica ed è difficile, se non impossibile, poterli spiegare ricorrendo ad altre interpretazioni differenti, a meno che non si liquidino tutti questi episodi come “eccezionali”.

 

Ma è impossibile parlare di “eccezione” quando questa esperienza si ripete così tante volte, tanto più che i cinque casi analizzati (Pentecoste, casa di Cornelio, Samaria, Efeso e apostolo Paolo) si riferiscono complessivamente a circa 200 differenti esperienze di credenti battezzati nello Spirito Santo (centoventi a Pentecoste, circa 50 nel caso di Cornelio per una normale casa romana del tempo, almeno una ventina a Samaria, circa dodici a Efeso).

 

Ma ancor più di questo, è importante considerare che quelle qui riepilogate sono tutte le esperienze di battesimo nello Spirito Santo raccontate nel Nuovo Testamento. Se altrove Luca o Paolo avessero raccontato almeno di una manciata di credenti che sono stati battezzati nello Spirito Santo e sicuramente non hanno parlato in altre lingue, allora avremmo elementi per mettere in dubbio la normatività della dottrina pentecostale classica; ma la totale assenza di episodi di questo genere nel Nuovo Testamento ci impediscono di poter percorrere la via di questa interpretazione.

 

…stay tuned

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