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Perché devo parlare in altre lingue? (Parte 6)

 

In difesa della dottrina pentecostale classica

 

…come molti altri, pensavo di aver ricevuto il battesimo nello Spirito Santo al tempo della mia consacrazione, ma quando scopersi che lo Spirito Santo poteva ancora essere sparso con maggiore pienezza, il mio cuore divenne desideroso per il Consolatore promesso e cominciai a richiedere ardentemente un rivestimento di potenza dall’alto…
Agnese Ozman, prima credente pentecostale battezzata nello Spirito Santo nel gennaio del 1901

La normale esperienza cristiana descritta nel libro degli Atti degli apostoli prevede che il battesimo nello Spirito Santo sia associato al segno delle lingue. Questo principio per la dottrina pentecostale è fondamentale quanto il principio della distinzione fra Nuova Nascita e Battesimo nello Spirito Santo.

 

A questo proposito l’apostolo Paolo è molto esplicito: “Chi parla in altra lingua edifica se stesso … Vorrei che tutti parlaste in altre lingue” (1 Cor. 14:4-5). L’apostolo Paolo definisce come normativa l’esperienza di parlare in altre lingue per tutti i credenti, come una meta da desiderare per tutti i credenti.

 

Molti commentatori fanno notare che in verità in questi versi, letti nel proprio contesto, l’apostolo Paolo sta affermando che sia più importante profetizzare che parlare in altre lingue, e questo è sicuramente condivisibile. Ma ciò non toglie che Paolo considera normale, sia per se stesso (14:18), sia per gli altri (0,00977430555555556) parlare in lingue per la propria edificazione personale.

 

Leggendo Paolo che scrive “vorrei che tutti parlaste in altre lingue”, il credente di ogni tempo è invitato a ricercare l’esperienza del parlare in lingue, anche volendo prescindere dalle interpretazioni che si possano fare degli altri insegnamenti del libro degli Atti. Solo dopo aver fatto l’esperienza di parlare in lingue, il credente è invitato dalle Scritture a progredire nei carismi spirituali, sperimentando anche il dono di interpretazione (“chi parla in altra lingua preghi di poter interpretare” – 14:13) e quello di profezia (0,586805555555556).

 

Se anche per ipotesi fosse possibile essere battezzati nello Spirito Santo senza manifestare il segno delle lingue e se anche questo segno fosse distinto dal battesimo nello Spirito Santo, il cristiano dovrebbe in ogni caso ricercare il manifestarsi delle lingue. Il battesimo nello Spirito Santo è innanzitutto una promessa, ma alla domanda “devo parlare in altre lingue?”, la risposta della Parola di Dio è inequivocabilmente: “sì”.

 

A questo proposito, si cita come obiezione il verso di 1 Corinzi 12:30 in cui la domanda retorica di Paolo “parlano tutti in altre lingue?” presuppone come risposta un “no”. E’ evidente che ci troviamo di fronte ad un apparente paradosso delle Scritture, paragonabile a quello relativo all’apostolo Giovanni che afferma in 1 Giov. 1:10 e in 1 Giov. 3:9 rispettivamente che il credente nato di nuova “pecca” e parallelamente che “non pecca”; oppure in 1 Sam. 15:11 e 29 è scritto rispettivamente che Dio si pente e che Dio non si pente.

 

La normale esegesi biblica piuttosto che preferire un verso all’altro, approfondisce il significato dei passi in esame fino a poter distinguere due diversi significati della stessa espressione, e risolvere quindi l’apparente contraddizione logica.

 

Dal contesto di 1 Corinzi si evince chiaramente che esiste un parlare in altre lingue “personale” che ha come scopo l’edificazione di se stessi (14:4), dall’altro lato esiste il carisma delle lingue che come tutti i restanti carismi è dato allo scopo di edificare la chiesa tutta (12:7,10; 14:12).

 

Nello stesso libro degli Atti degli Apostoli le lingue non sempre sono interpretate (vedi p.e. l’episodio di Samaria già citato). Lo scopo è differente perché la funzione è differente: nel primo caso il credente parla direttamente a Dio (14:2), nel secondo caso invece “parla agli uomini” (così è scritto in 14:3 della profezia ed altrove l’apostolo Paolo chiarisce che il dono delle lingue accompagnato dall’interpretazione è equiparabile nella propria funzione al dono della profezia; vd.14:5,13,26,27,28).

 

Poiché scopo e funzione sono differenti, parlare in altre lingue per la propria edificazione può avvenire anche simultaneamente fra differenti credenti ed un numero di volte indefinito nel corso della stessa riunione di culto (Atti 2:4; 10:44), invece il dono delle lingue di norma può manifestarsi nello stesso culto solo un massimo di due o tre volte ed uno di seguito all’altro, se qualcuno interpreta (1 Cor. 14:27).

 

Una volta chiarita questa distinzione, è naturale ribadire con l’apostolo Paolo che tutti i cristiani dovrebbero parlare in altre lingue per la propria edificazione anche se non tutti i credenti riceveranno nella propria vita quello specifico carisma delle lingue che accompagnato da quello di interpretazione svolge una funzione equiparabile al carisma di profezia.

 

Il Nuovo Testamento non mette abbastanza enfasi sulle lingue? Se si pensa che il libro degli Atti degli Apostoli inizia con un “rumore come di vento” e lingue “come di fuoco” che si manifestano davanti a tutta la chiesa riunita, si noterà che difficilmente il Signore avrebbe potuto mettere maggiore enfasi sul segno delle lingue: si tratta di una gigantesca pubblicità “audio-visiva” incentrata proprio su questo simbolo, dove il rumore prodotto “come da vento” ne simula il suono e le lingue “come di fuoco” addirittura le rappresentano visivamente.

 

È particolare perché questa esperienza non è incentrata sul vento, infatti non si parla del vento, ma soltanto del suo suono; non è incentrata neppure sul fuoco, perché non si parla di fuoco, ma di lingue “come di fuoco”; tutta l’enfasi di questo enorme miracolo voluto da Dio è sulle lingue, una volta e per sempre, affinché non ci sia nessun dubbio per gli apostoli che questa è l’esperienza che stavano attendendo per volere di Gesù.

 

…stay tuned

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