Sinceramente: “se dipendesse da me, eliminerei la sofferenza dalla mia vita”.
Subito, cancellata! Penso che anche tu – potendolo fare – sceglieresti giornate senza sofferenza, proprio come una persona celiaca o intollerante al glutine sceglie esclusivamente prodotti senza glutine per non sentirsi male (pane, biscotti, cioccolato, pizza, salumi ecc… gluten free)!
Ma nella vita, purtroppo, si soffre. Soffriamo tutti, in un modo o nell’altro. Perché?
“Perché si soffre?” penso sia una domanda antica quasi quanto la storia umana. Dico “quasi”, perché c’è stato un tempo (sembra incredibile, ma è così) in cui i primi esseri umani nel giardino dell’Eden non conoscevano nemmeno la parola “sofferenza”: sul loro dizionario c’era solo “felicità”, “benessere”, “tranquillità”!
Se cerchi una risposta biblica immediata alla domanda sulla ragione della sofferenza umana, la risposta è: “Esiste la sofferenza perché esiste il male, a cui Adamo ed Eva hanno scelto di cedere”. Con questo articolo, però, non si vuole indagare teologicamente l’origine della sofferenza sulla terra. Vorrei, invece, cercare di seguire la logica divina nella sofferenza umana e trovare risposte concrete a domande tipo:
- Per quale motivo non posso godermi una vita senza sofferenza (o pain free)?
- Perché devo soffrire?
- È proprio “necessario” star male, combattere con problemi che sembrano insuperabili, avere certi dispiaceri, vivere determinate angosce, trovarmi totalmente da solo (o perlomeno avere questa percezione)?
Ho voluto provare a capire perché Dio permetta la sofferenza, in particolare nella vita dei Suoi figli, trovando queste incoraggianti risposte nel testo biblico.
SOFFRO PER COMPRENDERE GLI ALTRI CHE SOFFRONO
Soffro perché, attraverso il dolore, posso diventare più sensibile verso chi soffre, più altruista. “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione” (2 Corinzi 1:3-4).
Solo chi ha attraversato una certa prova può capire e aiutare qualcuno che sta vivendo la stessa esperienza, questo lo sappiamo bene. Chi ha perso il lavoro sa cosa prova qualcuno senza lavoro o precario, chi ha una certa patologia (o ha un familiare affetto dalla stessa malattia) può immedesimarsi nella situazione. Per usare una metafora: ci sono scarpe scomode che la vita ci fa indossare (o “provvedute” da Dio) e che ci fanno capire cosa provano gli altri ai piedi.
SOFFRO PER DARE GLORIA A DIO
Soffro per avere un’opportunità per dare gloria al Signore. L’apostolo Pietro scrive: “Se uno soffre come cristiano non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome” (1 Pietro 4:16). A fare questa potente affermazione è il discepolo a cui Gesù aveva rivelato “con quale morte avrebbe glorificato Dio”, cioè da persona anziana e non autosufficiente (Giovanni 21:19).
Ci sono casi complicati, dolorosissimi, che diventano situazioni uniche per dichiarare in modo unico la grandezza di Dio! Potrebbe trattarsi di circostanze comuni (problemi familiari, di salute, economici ecc…) oppure di circostanze particolari, collegate al nostro essere cristiani (e quindi al “soffrire come cristiani”) come subire prese in giro, dispetti, essere messi da parte da chi prima ci considerava, solo o soprattutto perché siamo credenti e cerchiamo di essere coerenti.
SOFFRO PER MATURARE SPIRITUALMENTE
Soffro per essere più costante, più completo. La sofferenza che il Signore permette viene presentata, nel Nuovo Testamento, come un progetto formativo, una palestra spirituale per sviluppare costanza e maturità nella fede. “Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. E la costanza compia pienamente l’opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti” (Giacomo 1:2-4; 1 Pietro 5:10). L’apostolo Paolo afferma addirittura di camminare a testa alta anche nelle sofferenze, visto che “l’afflizione produce pazienza.” (Romani 5:3)
SOFFRO PER RIMANERE UMILE
Soffro per essere, in parte, protetto dall’orgoglio, un po’ come fece il Signore permettendo che una spina nel fianco (è proprio il caso di dirlo!), una persona costantemente ostile o una circostanza terribile (forse una malattia) rendesse la vita dell’apostolo Paolo difficile, quasi insopportabile: “E perché io non avessi a insuperbire per l’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca” (2 Corinzi 12:7).
Quando siamo praticamente allo stremo delle forze e confusi, a volte riusciamo a tornare a Dio con tutto il cuore per ricordarci chi è Lui e… chi siamo noi: “Quanto a me, nella mia prosperità, dicevo: «Non sarò mai smosso». O Signore, per la tua benevolenza avevi reso forte il mio monte; tu nascondesti il tuo volto, e io rimasi smarrito” (Salmi 30:6-7).
SOFFRO PER SERVIRE IL SIGNORE
Soffro perché circostanze dolorose mi permettono di evangelizzare e incoraggiare spiritualmente chi neanche avrei potuto immaginare: “Desidero che voi sappiate, fratelli, che quanto mi è accaduto ha piuttosto contribuito al progresso del vangelo; al punto che a tutti quelli del pretorio e a tutti gli altri è divenuto noto che sono in catene per Cristo; e la maggioranza dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, hanno avuto più ardire nell’annunciare senza paura la parola di Dio” (Filippesi 1:12-14).
Se avesse potuto scegliere, penso che l’apostolo Paolo avrebbe optato per un altro tipo di notorietà, non quella di detenuto per motivi religiosi! Ma Dio permise che il periodo di carcerazione romana fosse probabilmente il periodo più fruttuoso per Paolo come scrittore cristiano e promotore del Vangelo! Il Signore cosa vuole per me? Ed io cosa voglio davvero? Essere un Suo testimone (Atti 1:8) o un testimonial? Intendo: servirLo succeda quello che succeda oppure solo a certe condizioni, magari solo quando mi fa piacere e mi conviene?
SOFFRO E CONOSCO PIU’ PROFONDAMENTE IL SIGNORE
Soffro per avvicinarmi alla conoscenza di Dio e alla comprensione della Sua saggezza. Che tutte le cose cooperano, lavorano insieme, per il bene di chi ama il Signore, in teoria tutti i credenti lo sanno, conoscendo a memoria Romani 8:28. Può essere, invece, molto diverso sapere per esperienza diretta che perfino la pagina più drammatica della nostra vita, le ferite emotive più profonde, le offese più gravi, le delusioni più grandi, il bisogno più estremo non ci possono e non ci potranno mai disconnettere dall’amore di Dio (Romani 8:35)!
Nell’Antico Testamento, la biografia travagliata di Giobbe ci mostra il più bel finale a lieto fine: “Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l’occhio mio ti ha visto” (Giobbe 42:5).
SOFFRO E MI RIVOLGO SERIAMENTE A DIO
Soffro perché io, i miei familiari e amici credenti, la mia chiesa preghiamo di più e dipendiamo di più da Dio: “Egli ci ha liberati e ci libererà da un così gran pericolo di morte, e abbiamo la speranza che ci libererà ancora. Cooperate anche voi con la preghiera, affinché per il favore divino che noi otterremo per mezzo della preghiera di molte persone siano rese grazie da molti per noi” (2 Corinzi 1:10-11). L’arresto dell’apostolo Pietro porta (anzi obbliga!) la chiesa di Gerusalemme a partecipare ad un incontro di preghiera notturno.
Quando sto male, ma male davvero, tutti pregano di più: è “scientifico”! E anche questo il Signore lo sa perfettamente. Finché ci troviamo con situazioni umane risolvibili con soluzioni umane, facciamo da noi o chiediamo aiuto a qualcuno che ci circonda. Quando, invece, siamo consapevoli di aver bisogno di soluzioni divine, allora cominciamo ad affidarci sul serio a Dio, l’Autorità nel campo del soprannaturale, del miracoloso!
Quando si soffre, continuare a credere che Dio sia ancora buono, saggio e onnipotente, penso sia la migliore e più grande consapevolezza. C. S. Lewis, che parla della sofferenza come del megafono di Dio, scrive: “Dio sussurra nei nostri piaceri, parla nella nostra coscienza, ma grida nelle nostre sofferenze”. “Il megafono”, osserva l’autore de Le Cronache di Narnia, “è uno strumento terribile, fastidioso, ma spesso è l’unico modo che il Signore trova per dirci quello che abbiamo bisogno di ascoltare.”
Gabriele S. Manueli
Per approfondire l’argomento ti consigliamo alcune letture:
“La sofferenza non è mai vana” di E. Elliott
“Dov’è Dio quando c’è la sofferenza” di Amy Orr-Ewing
“Le ferite che mi hanno formata” di Vaneetha Rendall Risner