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Ri-conoscere

omini che sembrano persone

 

La storia di cui parla il testo biblico (Genesi 45:1-11), se fosse stata una live, oggi avrebbe tenuto incollati agli schermi milioni di persone! Ti invito a leggere (o rileggere) per intero l’appassionante biografia di Giuseppe (i brani nella Bibbia sono Genesi 35:21-26; 37-50), che provo a sintetizzare per chi non dovesse conoscerla o ricordarla bene.

 

Figlio di Giacobbe[1] e Rachele[2], Giuseppe a diciassette anni collabora in famiglia accudendo le pecore. È il “figlio della vecchiaia” e il papà stravede per Giuseppe. Oltre a questo, il ragazzo ha dei sogni profetici tramite i quali il Signore rivela alla famiglia di Giacobbe il suo futuro. I fratelli di Giuseppe nutrono invidia nei suoi confronti: non solo è il figlio prediletto del padre, ma sembra essere anche “il prediletto da Dio” (dato che, stando ai sogni, Giuseppe avrà nella sua famiglia un ruolo di primo piano)! I fratelli di Giuseppe, accecati dall’odio, vogliono liberarsi di lui. Raccontano al papà che una belva ha sbranato Giuseppe, mentre in realtà è stato venduto dai fratelli a dei mercanti diretti in Egitto, dove, dal mercato degli schiavi, Giuseppe si trova in modo inaspettato al servizio di uomo molto potente, Potifar. La moglie del padrone di Giuseppe perde la testa per lui e, visto che il giovane rifiuta di avere con lei una relazione segreta, la donna lo accusa di tentato stupro per sbarazzarsene. Giuseppe, a causa di questa gravissima, falsa accusa, trascorre alcuni anni in carcere, da dove, possiamo ben dire, il Signore lo tira fuori. Dio, in modo soprannaturale, permette che Giuseppe diventi (oggi diremmo) “ministro dell’economia” e “vicepremier” dell’allora superpotenza mondiale, l’Egitto! Giuseppe è la risposta divina in una crisi economica internazionale per una nazione e per la sua famiglia!

 

Dopo questa trama, andando ora al brano che quest’articolo vuole analizzare, siamo nel punto della storia in cui Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli, che, vista la carestia, si sono recati in Egitto per acquistare scorte alimentari. L’idea di fondo nell’esperienza descritta è riconoscere.

 

Riconoscere può significare rendersi conto dell’identità di qualcuno o di qualcosa (ad esempio: “Con la barba folta non ti avevo riconosciuto!” oppure “Dopo i lavori di ristrutturazione non sarei riuscito a riconoscere casa vostra!”). Riconoscere può anche significare conoscere qualcuno o qualcosa com’è realmente, nella sua essenza o in una sua qualità (“Oggi riconosciamo nel Verga uno dei più grandi scrittori”)[3]. In questo secondo senso, riconoscere è, in qualche modo, chiamare per nome qualcosa, accorgersi effettivamente di quello che è, che rappresenta quella persona o cosa.

 

Giuseppe, nel brano biblico che segue (che leggeremo insieme in tre step), riconosce, guarda negli occhi, se stesso, Dio e il futuro. E proprio questo ri-conoscere sarà per lui – e per la storia del popolo ebraico – assolutamente determinante! Il riconoscimento da parte dei fratelli (che ne avevano perso le tracce) di Giuseppe, che da schiavo era diventato viceré d’Egitto, potrebbe essere quindi la metafora del riconoscimento dell’essenza delle proprie emozioni, dell’essenza (o essere) di Dio e dell’essenza del futuro.

 

Giuseppe guarda dentro di sé

 

Riconosce prima di tutto la propria essenza, la propria necessità. Giuseppe ha bisogno di piangere, sfogarsi, raccontarsi alla sua famiglia, cercare di recuperare il tempo perduto, riabbracciare dopo molti anni i suoi fratelli, che per invidia lo avevano letteralmente messo in vendita[4].

Tutti fuori dalla stanza, le persone al suo servizio via: doveva uscire il vero Giuseppe, con la sua voce tremante, con la sua vulnerabilità e le sue ferite. Vediamo questo estratto direttamente nella Bibbia:

 

“Allora Giuseppe non poté più contenersi davanti a tutto il suo seguito e gridò: «Fate uscire tutti dalla mia presenza!» Nessuno rimase con Giuseppe quando egli si fece riconoscere dai suoi fratelli. Alzò la voce piangendo; gli Egiziani lo udirono e lo udì la casa del faraone. Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Io sono Giuseppe! Mio padre vive ancora?» Ma i suoi fratelli non gli potevano rispondere, perché erano atterriti dalla sua presenza. Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Vi prego, avvicinatevi a me!» Quelli savvicinarono ed egli disse: «Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse portato in Egitto.” (Genesi 45:1-4)

 

Giuseppe guarda in alto

 

Riconosce anche l’essenza di Dio, il Suo amore e la Sua saggezza. Riconosce il male subìto, ma, soprattutto, il bene di Dio! Sceglie di perdonare (che nella Bibbia vuol dire “lasciare andare”) per essere finalmente libero, leggero[5].

Per tre volte Giuseppe sottolinea, con una fede e un altruismo sconvolgenti, la grandezza del proposito di Dio, la bontà del Suo cuore (Genesi 45:5, 7, 8)!

Dice: “È stato Dio”, Dio ha permesso che accadessero cose anche sgradevoli per uno scopo nobilissimo[6]! Notiamo le parole di Giuseppe nelle Scritture:

 

“Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di avermi venduto perché io fossi portato qui; poiché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Infatti, sono due anni che la carestia è nel paese e ce ne saranno altri cinque, durante i quali non ci sarà raccolto né mietitura. Ma Dio mi ha mandato qui prima di voi, perché sia conservato di voi un residuo sulla terra e per salvare la vita a molti scampati. Non siete dunque voi che mi avete mandato qui, ma è Dio. Egli mi ha stabilito come padre del faraone, signore di tutta la sua casa e governatore di tutto il paese dEgitto.” (Genesi 45: 5-8)

 

Giuseppe guarda avanti

 

Giuseppe riconosce che c’è una prospettiva. Non c’è soltanto un passato di angoscia e dolore: c’è un futuro di speranza! Non ci sono solamente la crudeltà dei fratelli, le grida di disperazione inascoltate, l’abbandono, la solitudine in un paese straniero, la nostalgia di casa, le accuse infondate, l’arresto e il carcere! Ora c’è il futuro scritto da Dio! Il futuro di un affetto ritrovato, dell’unità familiare, della serenità, di una totale autonomia economica e della benedizione spirituale. Tutto quello, cioè, che il Signore aveva già progettato per tutta la famiglia di Giuseppe! Leggiamo ancora una volta:

 

“Affrettatevi a risalire da mio padre e ditegli: “Così dice tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto lEgitto; scendi da me, non tardare. Tu abiterai nel paese di Goscen e sarai vicino a me: tu e i tuoi figli, i figli dei tuoi figli, le tue greggi, i tuoi armenti e tutto quello che possiedi. Qui io ti sostenterò (perché ci saranno ancora cinque anni di carestia), affinché tu non sia ridotto in miseria: tu, la tua famiglia e tutto quello che possiedi’”. (Genesi 45:9-11)

 

Riconosciamo anche noi, guardiamo all’essenza di quello che proviamo e che abbiamo dentro, senza vergognarcene né restarne come incastrati.

Riconosciamo l’amore del Signore verso di noi, verso la nostra famiglia, nonostante le situazioni drammatiche che abbiamo dovuto affrontare e che ci hanno lasciato cicatrici nell’anima.

Riconosciamo, guardiamo bene il futuro che Dio ci ha sorprendentemente riservato. Il Signore è già lì (oltreché nel nostro presente), è lì nel futuro in cui Lui ci sta aspettando: andiamoGli incontro, senza più paura, soprattutto perché in Gesù Cristo tutto è completamente nuovo (è un restyling totale, nel nostro mondo interiore, in ogni relazione, perché cambia la nostra relazione con Dio!). In Lui tutto è differente. Tutto, a partire da noi[7].

Gabriele S. Manueli

[1] Un padre per il popolo ebraico. Basti pensare che da Israele, il nome che Dio dà a Giacobbe (Genesi 32:28), prende nome il popolo d’Israele! Giacobbe era figlio di Isacco e nipote di Abraamo.

[2] Rachele e la sorella, Lea, nel libro biblico di Rut sono definite “le due donne che fondarono la casa d’Israele” (4:11).

[3] Vocabolario online Treccani: voce “riconoscere”.

[4] Genesi 37:11,23-28.

[5] Efesini 4:32.

[6] Genesi 46:26-32; Romani 8:28.

[7] 2 Corinzi 5:16,17.

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