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Com’è una vita consacrata?

 

Quando si parla di consacrazione, l’immaginario comune ci porta a cerimonie solenni, rituali, ritiri in monasteri su montagne irraggiungibili, privilegi per pochi eletti e forse un’attitudine così apparentemente lontana da noi. E, soprattutto, impossibile da praticare. Non è esattamente così.

 

In senso generale, il termine «consacrazione si riferisce all’atto di dedicarsi a uno scopo o a un obiettivo specifico. Consacrare se stessi significa dedicare la propria vita a qualcosa della massima importanza»[1]. Stando a quanto letto, quindi, potremmo dire che parecchi siano “consacrati”, visto che, ad esempio, gli sportivi vivono con un obiettivo costante nella vita che li porta a scelte e sacrifici (diete, allenamenti, orari da rispettare…).

 

Essendo la Bibbia un testo sacro, è quasi scontato che la “consacrazione” sia un filo conduttore dello stesso, un concetto che appare fin dai primi libri e resta fino alla fine perché, per un credente, la consacrazione deve essere a tutti gli effetti uno stile di vita alla luce della vita eterna.

 

Il termine “consacrazione” lo incrociamo per la prima volta nell’Esodo, quando il popolo d’Israele viene liberato dalla schiavitù egiziana: «Il Signore disse a Mosè: Consacrami ogni primogenito tra i figli d’Israele, ogni primo parto, sia tra gli uomini, sia tra gli animali: esso appartiene a me”» (Esodo 13:1, 2). Successivamente, questo tema lo ritroviamo nel quarto comandamento (Esodo 20:9,10: “Lavora sei giorni […] ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore” e in varie prescrizioni della legge per quanto riguardava i sacrifici di animali ed i luoghi, come il tabernacolo: “Il giorno in cui Mosè ebbe finito di erigere il tabernacolo, lo unse e lo consacrò con tutti i suoi arredi; poi, eretto l’altare, lo unse e lo consacrò con tutti i suoi utensili” (Numeri 7:1).

 

Esempi di consacrazione nella Bibbia

 

Durante la permanenza del popolo d’Israele nel deserto, il Signore scelse una tribù in particolare (i Leviti, discendenti di Levi, uno dei figli d’Israele, menzionato per la prima volta in Genesi 29:34), che fosse consacrata, adibita esclusivamente al servizio spirituale, quindi ai sacrifici, alla manutenzione del tabernacolo e degli utensili sacri ed al canto durante le funzioni:

 

«Il Signore disse a Mosè: Prendi i Leviti tra i figli d’Israele, e purificali […]. Così separerai i Leviti in mezzo ai figli d’Israele, e i Leviti saranno miei. Dopo questo, i Leviti verranno a fare il servizio nella tenda di convegno; e tu li purificherai e li presenterai come un’offerta agitata; poiché mi sono interamente dati tra i figli d’Israele; io li ho presi per me, invece di tutti i primi nati, dei primogeniti di tutti i figli d’Israele. Poiché tutti i primogeniti dei figli d’Israele, tanto degli uomini quanto del bestiame, sono miei; io me li consacrai il giorno che percossi tutti i primogeniti nel paese d’Egitto. Ho preso i Leviti invece di tutti i primogeniti dei figli d’Israele. Ho dato in dono ad Aaronne e ai suoi figli i Leviti tra i figli d’Israele, perché facciano il servizio dei figli d’Israele nella tenda di convegno e perché facciano l’espiazione per i figli d’Israele, affinché nessuna calamità scoppi tra i figli d’Israele quando si avvicinano al santuario. […] Chenania, capo dei Leviti, era preposto al canto; dirigeva la musica, perché era competente in questo» (Numeri 8:5, 6; 14-18; 1 Cronache 15:22).

 

Tra le storie più conosciute in merito alla consacrazione, nell’Antico Testamento troviamo sicuramente quella di Samuele, la cui mamma (Anna) era sterile ma «fece un voto e disse: O Signore degli eserciti, se hai riguardo all’afflizione della tua serva e ti ricordi di me, se non dimentichi la tua serva e dai alla tua serva un figlio maschio, io lo consacrerò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sulla sua testa». […] Nel corso dell’anno, Anna concepì e partorì un figlio, che chiamò Samuele; perché disse, l’ho chiesto al Signore. E quell’uomo, Elcana, salì con tutta la sua famiglia per andare a offrire al Signore il sacrificio annuo e a sciogliere il suo voto. Ma Anna non salì, perché disse a suo marito: Io non salirò finché il bambino non sia divezzato; allora lo condurrò, perché sia presentato davanti al Signore e rimanga là per sempre» (1 Samuele 1:11, 20-22).

 

Sansone, invece, noto per la sua forza con gli uomini e la sua debolezza con le donne, confessò alla sua compagna, Dalila, il segreto della sua forza «e le aperse tutto il suo cuore e le disse: Non è mai passato rasoio sulla mia testa, perché sono un nazireo, consacrato a Dio, dal seno di mia madre; se mi tagliassero i capelli, la mia forza se ne andrebbe, diventerei debole e sarei come un uomo qualsiasi”. Dalila […] lo fece addormentare sulle sue ginocchia, chiamò un uomo e gli fece tagliare le sette trecce della testa di Sansone […] e la sua forza lo lasciò. Allora lei gli disse: Sansone, i Filistei ti sono addosso!”. Egli, svegliatosi dal sonno, disse: Io ne uscirò come le altre volte, e mi libererò”. Ma non sapeva che il Signore si era ritirato da lui» (Giudici 16:17-20). Sansone diventò “un uomo qualsiasi” non perché gli avevano tagliato le trecce, ma perché dentro di lui non c’era più il timore di Dio e la sottomissione allo Spirito di Dio, che gli permettevano di essere così forte.

 

Il sacro dentro di noi

 

Per quanto possa sembrare difficile, in realtà una vita consacrata (cioè resa sacra) dovrebbe essere la normalità per chi crede, vista la personale scelta di fede di far entrare il Signore dentro il proprio cuore: “…il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo…” (1 Corinzi 6:19). Quindi, se nel nostro corpo “abita” Dio (lo Spirito Santo, terza Persona della Trinità), questo ci rende automaticamente con-sacrati, perché con noi, e in noi,– c’è qualcosa, o meglio Qualcuno, di sacro.

 

Spesso, alla parola consacrazione accostiamo l’idea di appartarsi, ritirarsi, isolarsi per non essere contaminati da ciò che ci circonda; in realtà, questo va applicato a livello intimo, perché il nostro cuore e la nostra mente devono necessariamente ritirarsi e distaccarsi dalle cose,– o persone,– che possono contaminarli. Nel contesto sociale, però, noi dobbiamo vivere nel mondo, altrimenti non potremmo parlare di Cristo alle persone.

 

Gesù disse: “Voi siete la luce del mondo” (Matteo 5:14); ebbene, una luce non brilla se si nasconde o si mette in un luogo isolato, per cui questo esclude a prescindere il mettersi in disparte; chi vive questo atteggiamento confonde la consacrazione con la presunzione perché, praticamente, estraniandosi sembra “troppo puro” per stare a contatto con gli altri, mentre dovremmo ricordare che siamo tutti peccatori salvati per grazia.

 

La grazia ci è stata concessa grazie a Gesù, l’esempio perfetto di consacrazione. Colui che ha vissuto una vita in comunione con gli altri e col proprio Padre, visto che spesso nei Vangeli leggiamo che “si ritirò in disparte” oppure “se ne andò sul monte a pregare” e passava varie ore, anche notturne, in preghiera con Dio (Matteo 14:23; Marco 6:46; Luca 6:12). Un giorno disse: “io non sono venuto per abolire ma per compiere la legge” (Matteo 5:17). Sembra strano trovare Gesù, fautore della Grazia, sullo stesso piano della legge, eppure Lui veramente è venuto ad adempiere la legge del sacrificio, il Suo: “Questa è la legge dell’olocausto, dell’oblazione, del sacrificio espiatorio, del sacrificio per il peccato, della consacrazione e del sacrificio di riconoscenza” (Levitico 7:37). Prima di Cristo, infatti, Dio accettava sacrifici animali per espiare i peccati umani; per donarci la vita eterna, però, è stato necessario un sacrificio divino, un Agnello senza macchia divenuto peccato per dare alla generazione umana una seconda possibilità di salvezza.

 

Consacrazione: essere o appartenere?

 

Gesù, durante il Suo ministero terreno, ci ha spiegato praticamente cos’è la consacrazione; Egli stesso, infatti, pregando per i Suoi discepoli, disse al Padre: “Non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Giovanni 17:15, 16).

 

Essere nel mondo ma non del mondo. Questo è forse il concetto che meglio chiarisce cosa sia un’esistenza consacrata: vivere nel mondo, conducendo un’equilibrata vita sociale, ma non appartenere ad esso come stile di vita, cioè quanto a pensieri, sentimenti, azioni e desideri non graditi a Dio.

 

La consacrazione non è perfezione, perché il giusto “cade sette volte e si rialza” (Proverbi 24:16), e l’esempio di “cadere e rialzarsi” calza a pennello perché parla di un cammino. Una vita consacrata, infatti, non è la mèta ma il percorso. La consacrazione non è la cima ma la salita, non è un traguardo raggiunto ma un processo che, passo dopo passo, porta il credente a chiedere di avere sempre di più “la mente di Cristo” (1 Corinzi 2:16) e il Suo carattere.

 

Come vivere una vita consacrata?

 

Ogni salita comincia da un gradino; ogni cammino da un passo. Quindi, come succede quasi sempre, un processo avviene gradualmente, a poco a poco. Il tutto, però, comincia da una decisione personale. Il profeta Daniele, prigioniero a Babilonia, durante un periodo di formazione per servire il re “prese in cuor suo la decisione di non contaminarsi con i cibi del re e con il vino che il re beveva … disse al maggiordomo … «Ti prego, metti i tuoi servi alla prova per dieci giorni; dacci da mangiare legumi e da bere acqua” (Daniele 1:8,11,12).
Come leggiamo, questo ragazzo non bandì un digiuno assoluto per un mese, ma chiese una dieta dissociata per dieci giorni.

 

Non dobbiamo fare promesse difficili da mantenere che poi ci portano al rimpianto di aver trasgredito un patto con Dio. Si può cominciare prendendo un piccolo impegno con il Signore, leggendo un brano della Bibbia quotidianamente, oppure ritagliarsi pochi minuti per pregare e parlare con Dio, in maniera assolutamente spontanea e sentita, come ci dice il cuore.

 

Poi, è consigliabile una valutazione degli interessi che circondano la nostra vita; magari, ci sono cose, come ad esempio canzoni, film, programmi TV, passioni e tendenze che rallentano il nostro percorso verso Dio, provocando sensazioni come rabbia, paura e stati di inquietudine che di certo non ci fanno del bene. E oltre alle cose, purtroppo, questo succede anche con le persone; leggiamo, infatti: “Non v’ingannate: «Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi»” (1 Corinzi 15:33).

 

È buono chiedersi costantemente: “questa cosa/persona fa del bene a me e piace al Signore?”, e possiamo stare certi che se il nostro desiderio è quello di allinearci con Dio, Egli stesso ci farà capire se è buono o no per noi. Il tutto, ovviamente, va corredato con l’equilibrio. Non bisogna esaltarsi eccessivamente dopo una vittoria né deprimersi oltremodo per una caduta: siamo pur sempre un “work in progress”, uomini imperfetti che hanno deciso di iniziare, nella loro vita, un percorso nuovo con Gesù, “la via, la verità e la vita” (Giovanni 14:6).

 

Una vita consacrata non è una vita dissociata, appartata, repressa né tantomeno una chiamata per pochi eletti. È un obiettivo alla portata di tutti, ma in noi ci deve essere il desiderio di raggiungerlo e mantenerlo fino alla fine. Tutti noi abbiamo bisogno costantemente di consacrazione. E visto che si parla di azione (contenuta nella parola stessa), è opportuno rivolgersi direttamente al Suo “produttore”: “è Dio che produce in voi il volere e lagire, secondo il suo disegno benevolo” (Filippesi 2:13).

Emilio Sabatelli

[1] https://www.wikihow.it/Consacrarsi.

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