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Arminianesimo e Calvinismo oggi

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Aveva cercato di condividere la sua testimonianza di conversione ma ora il professore continuava a ripeterle: “ma quindi voi pentecostali siete calvinisti? Se credete nella salvezza per fede e non per opere, vuol dire che per voi solo i predestinati possono ricevere la salvezza?”

 

Mentre era lì tutta sola in un’aula universitaria, senza un pastore o una pagina di wikipedia da consultare, Mary si ricordò delle conversazioni di teologia evangelica che il suo fidanzato Andrea a volte faceva con un suo amico credente e trovò le parole per spiegare che Dio ha scelto di predestinare coloro che nella Sua onniscienza sa già che accetteranno il dono gratuito della salvezza in Cristo.

 

Mary spiegò che non era calvinista e non era cattolica. Era arminiana.

Qualche tempo dopo si rese conto che, se non si fosse trovata nel mezzo di quei ragionamenti apparentemente un pò troppo intellettuali di Andrea e del suo amico, a quella domanda non avrebbe mai saputo rispondere a parole sue.

 

Senza la parola e il concetto di “arminianesimo”, non avrebbe saputo definire la propria identità nel panorama della cristianità moderna.
Quella che avete appena letto è una storia vera successa in Italia in tempi molto recenti.

 

Nuovo Calvinismo

 

Marzo 2009, il Time pubblica un articolo intitolato “le 10 idee che stanno cambiando il mondo già adesso”. In questa lista, a sorpresa, compare il “nuovo calvinismo”.
È raro che un giornale come il Time si interessi così da vicino alle dinamiche della teologia evangelica. L’evento segna l’inizio di una fase di attenzione ancora maggiore da parte di tutti gli evangelici nei confronti del calvinismo che attraversa negli ultimi anni tutte le denominazioni protestanti.

 

Il fenomeno aveva già avuto una pietra miliare nel 2006 con il libro del giornalista evangelico C. Hansen (autore anche di un capitolo del libro “Non chiamatelo regresso” – ediz. ADImedia) dal titolo molto incisivo: “Giovani, irrequieti, riformati – il viaggio di un giornalista fra i neocalvinisti” (il termine “riformato” è considerato in ambito teologico un sinonimo di “calvinista”).

 

Nei racconti di Joshua Harris (noto negli USA e in Italia per il libro “Giocare con i sentimenti? No grazie, ho smesso”), la teologia riformata trova spazio nelle chiese americane grazie anche al vuoto lasciato da molta superficialità evangelica in termini di dottrina e di spiritualità e dall’eccessiva distanza che sussiste fra le scuole bibliche evangeliche e le molte chiese nelle quali non è possibile ricevere un’adeguata educazione teologica.

 

Anche il noto osservatore Trevin Wax della Gospel Coalition era sulla stessa linea quando nel 2007, focalizzandosi soprattutto sulla strage dell’11 settembre, scriveva: “in un mondo “post 11 settembre”, un evangelicalismo troppo mondano e superficiale non aveva le risposte che molti evangelici più giovani stavano cercando” (da qui).

 

È anche vero che un’analisi statistica risalente al marzo 2012 nega che il calvinismo stia crescendo fra i giovani predicatori evangelici americani. Si tratterebbe perciò di un “bluff” o di un “effetto ottico” dovuto all’insistenza con cui i calvinisti parlano della propria posizione teologica, rispetto a quanto fanno gli arminiani.

 

Se si tiene conto che in Asia o in Africa a diffondersi grazie all’evangelizzazione sono senz’altro i pentecostali (tradizionalmente più vicini all’arminianesimo che al calvinismo), si può concludere che il neocalvinismo può essere in fase di diffusione solo fra una specifica categoria di credenti evangelici, quella dei giovani più affascinati dalla cultura, dalle università e dalla teologia.

 

Storicamente per gli arminiani è sempre stato difficile essere equilibrati nella valutazione dei rischi spirituali prodotti dal calvinismo: c’è chi lo considera quasi una forma di profonda umiltà interiore, chi lo considera comunque innocuo ai fini dell’evangelizzazione e della santificazione individuali e chi invece, all’eccesso opposto, lo considera al pari di un’eresia, come se diventare calvinisti fosse sintomo di perdizione spirituale.

 

Sicuramente per comprendere le conseguenze di una visione calvinista sulla fede cristiana bisognerebbe chiedersi fino a che punto sia possibile farvi riferimento nel contesto dell’evangelizzazione. Ad esempio rivolgendosi a un ateo scettico della verità cristiana: il calvinismo è davvero “presentabile” al mondo esterno?

 

Un noto studioso arminiano ha suscitato molte polemiche in tempi recenti scrivendo in internet che se la dottrina calvinista fosse vera, allora non sarebbe disposto ad adorare un dio che si comporta come il burattinaio dell’universo senza lasciare un barlume di libertà di coscienza e di volontà all’essere umano.

 

Ma la critica più diretta degli arminiani nei confronti della spiritualità calvinista concerne sempre la santificazione: se infatti fra un calvinista e un arminiano – entrambi consacrati – forse c’è poca differenza in termini di entusiasmo, serietà, autenticità, etc., quando un credente cade in una condizione di apostasia, sulla base delle due diverse concezioni teologiche, la reazione risulta essere completamente differente.

 

Per un arminiano …

Dio ama tutti gli uomini e quindi è sempre possibile uscire da una condizione di peccato confessandolo e ponendo fede nell’opera di Dio; parallelamente, il ravvedimento è ritenuto necessario per restare nella grazia di Dio.

 

Esistono due diverse risposte che possono arrivare invece dai calvinisti:
1. Escludere in qualsiasi caso la possibilità di perdere la salvezza per ogni credente che ha sperimentato almeno una volta nella vita la “nuova nascita”, che può essere sintetizzata nell’espressione “una volta salvati, sempre salvati”. È una posizione che a fronte di una maggiore tranquillità psicologica, inevitabilmente induce a una certa superficialità nel trattare con il proprio peccato, che in nessun caso potrebbe avere conseguenze eterne;

 

2. Si può essere certi della propria salvezza solo se la fede e la santificazione perseverano nel tempo; questa concezione induce a una forte attenzione nei confronti della propria etica (è la posizione teologica del puritanesimo inglese), ma ne consegue che il credente che vive in una condizione di peccato può essere sopraffatto dal dubbio e dallo scoraggiamento di non appartenere evidentemente al popolo degli eletti e arrivare infine ad una disperazione totale sul proprio destino eterno: secondo quest’interpretazione, se non sei nella lista dei predestinati, non c’è nulla che tu possa fare per scampare alla perdizione.

 

Per gli arminiani, quella appena descritta, è sicuramente la preoccupazione più grande quando si riflette sul calvinismo. A questa preoccupazione se ne aggiunge un’altra che è molto significativa soprattutto per i pentecostali: se il percorso di ogni uomo è predestinato da Dio, a prescindere dalla risposta dell’uomo, com’è possibile conciliare questo insegnamento con l’esperienza e l’appello dei primi pentecostali a ricercare la guida dello Spirito Santo per riconoscere lo specifico piano di Dio in ogni cosa?

 

La maggior parte dei calvinisti è molto chiara: il cristiano deve preoccuparsi di adempiere la volontà di Dio generale, valida per tutti gli uomini, così com’è rivelata nella Bibbia, ma non ha senso che ricerchi un piano individuale, perché non c’è modo di evitare che Dio adempia la Sua volontà in ogni dettaglio.

 

Per fare un esempio più pratico e probabilmente più chiaro: qualche anno fa un calvinista scherzava con un “single” arminiano esclamando quanto è bello per un calvinista sapere per certo che Dio determina in anticipo anche il matrimonio di ogni uomo, per esempio in merito alla donna che avrebbe sposato; l’arminiano ebbe la prontezza di rispondere che se il calvinismo fosse vero, Dio potrebbe avere pianificato anche il suo divorzio, senza che nessuno possa far qualcosa per evitarlo e questa è sicuramente una prospettiva terrorizzante. Il calvinista non seppe obiettare e la discussione si spostò su altri temi.

 

Per una o per tutte le ragioni su citate, negli ultimi anni si sono alzati alcuni allarmi nei confronti del neocalvinismo. Per quanto ci riguarda, il più rilevante è forse il seguente: nell’estate del 2012, le Assemblies of God americane pubblicavano un’edizione del loro giornale “Enrichment” rivolto ai propri pastori che intitolata “Le sfide del Ventesimo Secolo all’Evangelo”. Con grande sorpresa di molti osservatori, accanto ad articoli sul tema del buddismo e dell’islamismo, ben due articoli erano dedicati al calvinismo, identificato quindi come minaccia per la proclamazione dell’Evangelo.

 

In un articolo del pastore Francesco Toppi, pubblicato su Cristiani Oggi nel 1996 e in seguito nel libro “Il movimento pentecostale. Le Assemblee di Dio in Italia” di E. Stretti, è sintetizzato chiaramente “Il pentecostalesimo è arminiano” (esiste probabilmente una sola denominazione veteropentecostale al mondo che ha assunto una distinta posizione calvinista ed è la New Frontiers inglese; il calvinismo è molto più diffuso invece fra i neocarismatici).

 

D’altronde a livello concettuale è difficile conciliare la dottrina calvinista dell’irresistibilità dell’opera dello Spirito Santo con la dottrina classica del pentecostalesimo che afferma che parlare in lingue sia un’esperienza desiderata da Dio per tutti i credenti ma, di fatto, realizzata soltanto da alcuni: si tratta di una contraddizione di carattere logico.

 

È improbabile che il movimento pentecostale possa sopravvivere al Ventunesimo secolo preservando la propria identità dottrinale e spirituale se non riscoprirà le proprie origini e il proprio DNA arminiano. Ed è per questa ragione che Svolta nelle prossime settimane pubblicherà alcuni post su questo argomento.

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