Fede e Big Bang: parliamone, se volete!
Si, se volete, perché non è assolutamente indispensabile che siate interessati alla questione né tantomeno che abbiate esigenze spirituali particolari sull’argomento, rimanendo (potenzialmente) degli ottimi cristiani, con la fede necessaria per essere graditi a Dio.
Se invece volete, e/o rientrate in quella categoria di credenti per cui questo tema può rappresentare un problema spinoso, le prossime righe cercheranno di districare – almeno parzialmente – alcuni interrogativi relativamente recenti nel dibattito fra scienza e teologia. In questo percorso saremo confortati da un verso di Proverbi 25:27:
“Mangiare troppo miele non è bene, ma scrutare cose difficili è un onore.”
Genesi del Big Bang
Una delle domande fondamentali che l’uomo si è sempre posto è “da dove veniamo?”
L’interrogativo ha avuto nel tempo le risposte più disparate, dai miti delle origini in cui le divinità (spesso litigando fra loro) organizzavano la materia già esistente, alle descrizioni impersonali e particolarmente sofisticate del mondo greco. Evitando di scorrere una storia lunga millenni, fino ai primi anni del secolo scorso persino le dimensioni dell’Universo erano oggetto di disquisizioni scientifiche: è del 1920, infatti, un convegno ricordato come “il grande dibattito” sulla scala dell’Universo in cui due oratori, H. Curtis e H. Shapley, al Natural History Museum di Washington si confrontavano sul fatto che la Via Lattea fosse unica o ve ne fossero tante altre, estendendo i confini di tutto ciò che conosciamo.
Col senno di poi, sappiamo che di galassie ve ne sono tantissime e l’Universo è illimitato, ma finito: anche qui la conclusione ha richiesto di scomodare gente come A. Einstein, il quale però riteneva che il Cosmo fosse sempre esistito, quindi non avesse avuto un’origine. In quegli anni, però, la sua teoria della Relatività Generale venne applicata da un meteorologo russo A. Friedmann e da un sacerdote (si, un religioso!) belga di nome G. E. Lemaître alla dinamica dello spazio-tempo in cui viviamo, concludendone che esso si espande col passare del tempo e, quindi, tornando indietro, tutto l’osservabile dovesse essere racchiuso in un atome primitif (atomo primitivo).
Fede o scienza?
L’idea di un’origine iniziò a far storcere un po’ il naso alle grandi menti dell’epoca, specie perché il modello proposto prevedeva una storia che si sviluppava, anziché una sempre esistita, richiamando inevitabilmente “Nel principio Dio creò i cieli e la terra” di biblica memoria (Genesi 1:1).
Lo stesso Einstein sosteneva che la teoria dell’atomo primitivo fosse “ispirata dal dogma cristiano e ingiustificata sul piano della fisica”.
Sir Arthur Eddington, uno dei principali astrofisici del periodo, sebbene fosse un credente (quacchero) ebbe a dire che “dal punto di vista filosofico il concetto di un’origine dell’attuale ordine della Natura è ripugnante […] Mi piacerebbe trovarvi un’autentica via d’uscita”.
Per Sir John Maddox, direttore di lungo corso della prestigiosa rivista scientifica Nature (tale ancora oggi), l’idea di un inizio era “del tutto inaccettabile” perché supponeva “un’origine ultima del nostro mondo” e dava ai credenti “ampia giustificazione” circa i loro convincimenti religiosi.
Insomma, una condizione al contorno non proprio fra le più ottimali. A ciò si aggiunga il nome dato alla teoria: Big Bang (in inglese, “grande botto”), non esattamente un’etichetta scientifica accattivante, affibbiata per lo più dai detrattori, che avrebbero preferito un’altra storia.
La scienza non è democratica
La natura, però, si comporta secondo delle leggi precise, che possono essere riconosciute dagli scienziati che ne spiegano la regolarità attraverso l’osservazione e la formulazione matematica, a prescindere dalle visioni personali.
Ecco che nel 1929 un astronomo americano, E. P. Hubble, pubblica un articolo in cui si evidenziava come le galassie si allontanavano fra loro con una velocità direttamente proporzionale alle loro mutue distanze. Hubble non interpreta questi dati come un’espansione dell’Universo, cosa che invece fa Lemaître, richiamando alla comunità scientifica il lavoro da lui precedentemente sviluppato, nel frattempo caduto nel dimenticatoio, convincendo gli addetti ai lavori della validità del suo modello. Negli anni successivi, a sostegno del modello del Big Bang, si aggiungono i contributi della variazione di densità di oggetti celesti nel tempo (evoluzione dell’Universo) e della nucleosintesi primordiale, ossia come gli elementi si siano formati a partire dall’atome primitif di cui sopra. Serviva però un’ulteriore prova.
Nel 1964 A. Penzias e R. Wilson si accorsero di un rumore fisso alle antenne su cui lavoravano: proveniva da tutto l’Universo! Era la radiazione cosmica di fondo che prevedeva la teoria e la confermava!
Si narra che la notizia di questa scoperta fu data in punto di morte a Lemaître che emise un composto sospiro di sollievo.
Nel 1978 Penzias e Wilson saranno insigniti del Premio Nobel per la Fisica, così come avvenne più tardi nel 2006 per G. Smoot e John Mather per aver determinato la temperatura di questa radiazione cosmica di fondo a circa 2.73 gradi sopra lo zero assoluto, proprio come previsto dal modello!
Questo Universo non solo si espande, ma anche accelera la propria espansione: nel 2011 S. Perlmutter, B. P. Schimidt e A. G. Riess saranno premiati anche loro con il Nobel per la Fisica per questa scoperta che amplia ulteriormente il quadro della conoscenza della dinamica cosmica.
Tanti successi scientifici, tanti premi Nobel per la Fisica, così come tante opposizioni per una descrizione dell’Universo che funziona abbastanza bene, sebbene non tutto sia ancora chiaro, come, ad esempio, la natura dell’energia e materia oscure e della singolarità iniziale, ossia di ciò che sarebbe avvenuto prima di 0,0000000000000000000000000000000000000000001 secondi dopo il Big Bang (il cosiddetto tempo di Planck, 10-43 secondi, se volete evitare di contare gli zeri!).
Un’imprecisione che comunque non rovina il quadro generale e l’affidabilità dello stesso, che potrà essere maggiormente approfondito con il progredire della ricerca cosmologica.
L’excursus storico ha in parte mostrato come il modello del Big Bang abbia fatto fatica ad affermarsi anche per pregiudiziali di carattere filosofico, in quanto appariva troppo simile alla narrazione biblica.
Fede e scienza
Per il cristiano è Dio ad aver voluto l’Universo, così come chiaramente indicato dalle primissime parole di Genesi e non solo:
“Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e l’universo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio.” (Salmo 90:2)
Ovviamente, ciò è materia di fede e non di persuasione fisico-matematica:
“Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio; così le cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti” (Ebrei 11:3).
È il registro semplice ed immediato che Dio ha voluto per la Rivelazione, ribadito da Gesù nei Vangeli: “In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli fanciulli»” (Matteo 11:25).
La modalità della creazione che viene omessa è un “dettaglio” che evidentemente non doveva essere oggetto di fede, altrimenti lo Spirito Santo l’avrebbe chiaramente ispirata agli scrittori sacri come tutte le altre verità fondamentali della Bibbia!
Nel principio Dio creò (dall’ebraico “barà”) dal nulla ciò che osserviamo e questo, invece, è materia di fede, perché esclude la casualità dell’evento o la preesistenza di materia, poi riorganizzata nelle strutture osservabili, come invece ritenuto da alcuni popoli del passato.
Il Nuovo Testamento poi offrirà ulteriori chiarimenti metafisici su ciò che è avvenuto all’inizio (qualunque realtà possa significare questo sostantivo), rimandando al Logos, alla Saggezza fatta persona, Gesù, il centro di tutto il messaggio della Bibbia:
“Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta” (Giovanni 1:1-3).
È una conoscenza che non necessita per definizione l’acquisizione di nozioni scientifiche, ma che è rivolta a tutti coloro che vorranno sperimentare la corrispondenza dell’invito divino nella propria vita:
“Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16).
Se rettamente intesa, la fede non porta a conflitti da riconciliare, ma si apre alla contemplazione dell’opera di Dio nel creato, attestando con il salmista:
“Grandi sono le opere dell’Eterno, ricercate da quelli che si dilettano in esse” (Salmo 111:2).
Non sarà la scienza a produrre la fede, ma la Parola di Dio, e questa fede sarà sufficiente, in ogni epoca, per affermare come il profeta Isaia alcuni secoli prima della nascita di Cristo che:
“Egli sta seduto sulla volta della terra, e gli abitanti di essa sono per lui come cavallette; egli distende i cieli come una cortina e li spiega come una tenda per abitarvi” (Isaia 40:22).
Giovanni Palamara