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Giudicare o non giudicare?

dita che si puntano contro

 

Se volessimo dare un nome al periodo storico che la nostra società sta scrivendo, ci sarebbero buone probabilità di definirlo come “i giorni del giudizio”. Il giudizio riguardo ad azioni, notizie, persone e opinioni è divenuto quasi il fondamento di ogni discussione.

 

È davvero difficile, se non raro, trovare chi, davanti a un fatto compiuto, si ponga delle domande, si preoccupi di conoscere e comprendere, prima di esprimersi al riguardo.

 

Possiamo anche riconoscere che se da un lato giudichiamo gli altri, dall’altro temiamo il giudizio altrui. Ne segue che dovremmo porci una domanda: è giusto giudicare? È vero che nessuno può giudicarmi, ma Dio solo? E se è solo Dio che può giudicarmi, dovrei temere il Suo giudizio?

 

Che cos’è il giudizio

 

Possiamo asserire, esaminando noi stessi, che il giudizio non è una semplice opinione riguardo a cose o persone: è letteralmente una sentenza. In effetti, ogni qualvolta giudichiamo qualcosa o qualcuno, stiamo emettendo un decreto, spesso inappellabile, nei confronti di questi ultimi. Tuttavia, il giudizio non deve apparire come qualcosa da evitare a priori, e non è qualcosa da temere a prescindere, persino quello di Dio! Proseguendo nella lettura di questo articolo, scopriremo insieme il perché.

 

La differenza tra critica costruttiva e giudizio illecito

 

Spesso si parla di giudizio positivo (o negativo) e critica costruttiva. Questi possono verificarsi a seguito di una prestazione che sia risultata mediocre o poco sufficiente per via dell’inesperienza o dello scarso impegno.

 

Prendiamo ad esempio uno studente di danza classica al primo anno. Quando darà un esame, sarà molto probabile che riceva delle critiche che lo aiuteranno a migliorarsi; se, però, c’è stato dell’impegno nel preparare l’esame, con molta probabilità potrà anche ricevere, proprio grazie a quest’impegno, un giudizio positivo.

 

Ora, finché critica e giudizio lavorano all’interno di un’area circoscritta al ruolo di chi le esprime, va bene, ma quando questi vengono enunciati senza apparente motivo, o peggio senza una competenza reale in merito a ciò che si ha davanti, possono trasformarsi in maldicenza o addirittura in condanna e, di conseguenza, ferire.

 

Quante volte ci è capitato di leggere sui social qualche articolo di cronaca, purtroppo non rosa, e trovare, scorrendo i commenti, indignazione, condanna, sete di vendetta e di giustizia (queste due sempre più spesso secondo parametri puramente personali)?

 

Prima di commentare con tanta libertà e licenza, dovremmo chiederci: cosa ho in mano per potere esprimere un giudizio così intransigente? Solo uno stralcio di notizia che i giornali sono costretti a pubblicare, poiché la stragrande maggioranza delle informazioni riguardanti il caso ipotetico di cui sopra restano riservate e solo in mano ad autorità competenti. Quindi, cosa fare? Dovrei preferire il silenzio? Forse sì, ma forse si può fare di più. Prendiamo un esempio tratto dalla Bibbia.

 

La Bibbia e il giudizio

 

Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e, fattala stare in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?»

Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E, siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».

E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; vae non peccare più.»”

(Giovanni 8: 3-11)

 

Cosa accadde di preciso in quel giorno?

 

La donna era realmente colpevole e meritevole della lapidazione, come era scritto nella legge, precisamente in Levitico 20:10. I dottori della legge chiedevano a Gesù, a Colui che aveva creato e redatto la legge, a Colui che è la legge, cosa avrebbero dovuto fare, e Cristo li incoraggiò a mettere in pratica quanto la legge ordinava di fare.

 

Precisò, tuttavia, che un colpevole non può giudicare un altro colpevole, in quanto i due si condannerebbero a vicenda, ma solo chi è giusto (senza peccato) può giudicare. Davanti a queste parole, ognuno dovette mestamente riporre il proprio sasso e andare via.

 

In questa immagine troviamo due tipi di persone: i dottori della legge, che condannano (a prescindere) un atto chiaramente colpevole, e Gesù, che invece si siede accanto all’imputata e cerca di recarle aiuto e soccorso. Chi è caduto, infatti, ha bisogno di una cosa soltanto: essere rialzato.

 

Nessuno ha bisogno di essere giudicato, ma tutti abbiamo bisogno di essere soccorsi e sostenuti, e soprattutto compresi. Da questo scaturisce che c’è un gran bisogno di essere ascoltati e che, a nostra volta, dovremmo impegnarci di più nell’aprirci alle persone, al fine di ascoltarle prima di giudicarle, e magari vedremmo come la comprensione farà spazio alla compassione, eliminando ogni desiderio di giudizio, critica o condanna.

 

Se esaminiamo le Scritture, troveremo che raramente gli insegnamenti riguardo al giudicare hanno come oggetto le persone; ci viene insegnato, piuttosto, a giudicare cose, azioni e soprattutto il comportamento, quello personale. Ricordiamoci altresì che la Bibbia funge da scanner abile a evidenziare virtù e difetti nella nostra persona, non riguardo al nostro prossimo.

 

Prendiamo atto quindi che l’errore più comune che gran parte di noi commette è proprio quello di giudicare o, addirittura, condannare prima di avere esaminato. Ne segue che se non siamo in grado di esaminare una situazione, un comportamento, una reazione, non saremo di certo in grado di poter giudicare, in maniera positiva o negativa, ciò che abbiamo di fronte.

 

Spesso esprimere un giudizio o una condanna, che sia su un social o nei confronti di chiunque, reca più male a noi stessi che al presunto destinatario. Consideriamo qualche esempio pratico.

 

Come evitare di arrabbiarsi inutilmente

 

Se una persona ci taglia la strada, senz’altro ha sbagliato; ma ci chiediamo perché lo ha fatto? E se ha un’urgenza o è stata colta da un colpo di sonno? E se si è distratta e non si è accorta che gli stavamo dietro? Faremmo bene, dunque, a non irritarci in maniera smodata.

 

Un’altra persona ci risponde in modo scorbutico a una semplice domanda. Dentro di noi pensiamo: “Ha sbagliato, non ci si comporta così, non le rivolgerò mai più la parola”. Ma perché questa persona ci ha risposto in tal modo? Forse le è accaduto qualcosa che non può o non vuole rivelare o condividere e quindi si chiude in una sorta di protezione spinosa?

 

Gli esempi che abbiamo citato ci suggeriscono che abbiamo un ristretto margine di scelta su come comportarci davanti a qualsivoglia evento: puntare il dito accusatore o aprire invece lintera mano per offrire aiuto, comprensione, disponibilità?

 

Cristo fece proprio questo quel giorno, e i primi ad essere aiutati furono proprio i dottori della legge, in quanto spostarono il proprio sguardo dai peccati di quella donna ai propri.

 

Vale molto di più una mano che apre il palmo che una che si chiude in un pugno.

 

«La chiesa non deve essere un tribunale per i colpevoli ma un ospedale per gli ammalati e i bisognosi, e soprattutto una casa, dove chiunque può trovare una famiglia, del calore e l’amore di Dio» (tratto da una predicazione del pastore Gabriele Manueli.)

 

Devo temere il giudizio di Dio?

 

Ora, come dicevamo all’inizio, non dobbiamo sempre temere il giudizio di Dio. Ma a quale condizione?

 

L’esempio della donna colta in adulterio ci dona un meraviglioso insegnamento. Dio, prima di giudicarci, ci viene in soccorso. Ci trova nel nostro peccato, forse anche in una situazione che sembra irrisolvibile, e anziché condannarci ci porge una mano per rialzarci, ma ci chiede un atto da compiere, un atto di fede, quello di ravvederci, di allontanare da noi stessi quel peccato, quell’atteggiamento, quell’inclinazione, e di ricominciare una nuova vita con Lui al nostro fianco.

 

Potremmo trovarci nella stessa condizione della donna: a terra, aspettando di essere raggiunti da svariate pietre, alcune grosse, altre taglienti, che non smetteranno di colpirci finché avremo vita in noi. Abbiamo sbagliato, abbiamo commesso un reato, siamo caduti in tentazione e abbiamo ceduto, o può anche darsi che invece amassimo proprio quel peccato che commettevamo.

 

Accanto a noi, per di più, c’è il Figlio di Dio, l’Unico che può realmente giudicarci e mandarci in perdizione. Vediamo invece che Gesù, Dio fatto uomo, non ci giudica, come non giudicò la donna, ma ci difende, ci protegge e ci rialza.

 

Facciamo però attenzione: Cristo, come ammonì la donna, ammonisce anche noi, ordinandoci di non peccare più. Ciò che ci fa “guadagnare”e realizzare il perdono di Dio è un reale senso di pentimento e un sincero desiderio di abbandono di un comportamento sbagliato.

 

Spesso temiamo il giudizio di Dio, non tenendo conto invece che chi ci giudica in primis è il nostro modo di vivere, le nostre parole, le nostre azioni:  “poiché in base alle tue parole sarai giustificato, e in base alle tue parole sarai condannato” (Matteo 12:37). Sta a noi compiere una scelta.

 

Una volta abbandonato il peccato, possiamo essere strumenti di Dio, affinché come siamo stati compresi possiamo comprendere, come siamo stati perdonati possiamo perdonare, e soprattutto come siamo stati rialzati, possiamo anche rialzare.

 

Dio non ha bisogno di dita che accusino, ma di mani che soccorrono. Vogliamo insieme aprire le nostre, unendo le forze, proteggendoci gli uni gli altri, e portando l’amore di Cristo in un mondo che ne ha sempre più bisogno.

Raffaele Donisio

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